Recensione

Fabio Vicini, Reading Islam: Life and Politics of Brotherhood in Modern Turkey, Brill, Leiden e Boston, 2020

Laura Menin

University of Sussex

Soprattutto negli ultimi due decenni, la crescente visibilità pubblica dell’Islam nei paesi musulmani e in occidente ha catturato l’interesse del mondo accademico. Numerosi studi hanno cercato di comprendere, e spiegare, l’emergere di soggettività e pratiche religiose connesse al “risveglio islamico” (al-sahwa al-islamiya), un movimento altamente diversificato al suo interno che attraversa il mondo musulmano dagli anni ’70 e ’80 del Novecento. La pubblicazione dei lavori di Saba Mahmood[1] (2001, 2005), in particolare, ha inaugurato un modo radicalmente nuovo di guardare a questo complesso fenomeno, mostrando i limiti profondi dei concetti secolaristi e liberisti di agency e soggetto nel dare senso ai desideri e alle pratiche corporee attraverso cui le donne di un movimento pietista cairota coltivano se stesse come soggetti etici sottomettendosi a norme patriarcali piuttosto che sfidandole. Il modello teorico proposto da Mahmood, che combina l’idea di “tradizioni discorsive” di Talal Asad con la nozione foucaultiana di “tecniche del sé”, ha ispirato quella che Filippo Osella e Benjamin Soares hanno definito una “svolta pietista” (2009: 10) in antropologia, animando il dibattito nelle scienze sociali per due decenni. Alcuni studiosi (es. Pandolfo 2007; Schielke 2009), in dialogo critico con il modello teorico di Mahmood, hanno spostato lo sguardo etnografico dalla formazione etica di soggettività pietiste all’esplorazione di ambivalenze, tensioni e incoerenza come elementi costitutivi dei legami fra Islam e vita quotidiana. Più recentemente, altri studiosi e studiose[2] hanno dato visibilità a modalità d’incontro con la trascendenza divina che si discostano dalle correnti dell’Islam salafita e/o che non possono essere compresi attraverso il “paradigma di coltivazione del sé” (Mittermaier 2011:5). Ed è proprio all’interno di questa seconda linea di ricerca che si situa Reading Islam: Life and Politics of Brotherhood in Modern Turkey di Fabio Vicini, una raffinata etnografia delle pratiche di lettura e riflessione meditativa che animano due comunità religiose della Turchia contemporanea: Suffa e Gülen. L’idea centrale è che l’analisi di queste pratiche intellettuali imponga non solo di attraversare i confini, soggiacenti al senso comune e alla tradizione epistemologica moderna occidentale, fra religione e scienza, fra metafisica e riflessione intellettuale, ma anche di ricollocare la trascendenza a pieno titolo nell’ambito dell’analisi sociale.

Basato su un lungo percorso di ricerca iniziato nel 2005, Reading Islam conduce il lettore e la lettrice all’interno del complesso intreccio di temporalità mondane e trascendenti che scandisce il ritmo della vita sociale di Suffa e Gülen. Entrambe le comunità sono due diramazioni di Nur, uno dei più importanti movimenti revivalisti islamici di orientamento riformista in Turchia ispirato al pensiero del riformatore ottomano Said Nursi (1877-1960). Come numerosi riformatori della sua epoca, Nursi aspirava a “rivitalizzare l’Islam” (56) attraverso una sintesi capace di integrare Islam e modernità, religione e scienza, considerate inconciliabili nel pensiero positivista che andava imponendosi nell’impero ottomano. La sua opera principale, la Risale-i Nur, si rivolgeva a una generazione di musulmani culturalmente espropriati formatisi nelle scuole moderne e secolari (102), offrendo loro gli strumenti per vivere l’Islam in modo consapevole nelle mutate condizioni epistemologiche della modernità. Come Vicini illustra in modo convincente nei cinque capitoli in cui si articola Reading Islam, la specificità della visione modernista proposta da Nursi, e riattualizzata dalle comunità Suffa e Gülen, risiede nella centralità che la riflessione meditativa, intesa come specifica modalità di accesso alla trascendenza, ricopre in questa ricerca.

Dopo aver presentato il pensiero di Nursi sullo sfondo delle grandi trasformazioni in cui prende vita il movimento Nur, Vicini ripercorre la nascita e l’evoluzione delle due comunità che al suo pensiero si ispirano (Capitolo 1). Suffa, fondata nel 1982, si espande a Istanbul negli anni 1990 aprendo centri culturali ed educativi, biblioteche e studentati, coinvolgendo soprattutto emigranti originari dell’Anatolia con una solida identità etnica e regionale. Gülen, fondata dal celebre predicatore Fethullah Gülen negli anni 1970, ha una composizione più marcatamente urbana ed elitista. Si caratterizza per un forte coinvolgimento sociale ed economico, legato all’abilità del suo leader di catalizzare capitali da investire nell’industria culturale, dei media e nel settore dell’istruzione per formare una nuova classe dirigente. Vicini si addentra poi in alcune delle strutture da queste gestite (Capitolo 2): case, dormitori e residenze studentesche che accolgono studenti giunti a Istanbul per frequentare scuole superiori e università. Gli studenti ricevono una formazione religiosa come parte integrante della missione educativa che le due comunità perseguono con l’obiettivo di dare vita, dal basso, a una comunità di musulmani consapevoli e attivi nella società. Inscrivendo le pratiche di disciplina del sé e la coltivazione di virtù etiche all’interno delle dimensioni intersoggettive della vita comunitaria, Vicini illustra le specifiche forme di socialità e solidarietà che animano Suffa e Gülen. Obiettivo primario di entrambe le comunità è creare e sostenere una “connettività musulmana” basata sul principio organizzativo della “fratellanza nella religione” (79) e sulla coltivazione di “virtù della mutualità” (87), come la sincerità e la purezza dell’intenzione, centrali nella tradizione sufi a cui Nursi attinse. La verticalità tipica della relazione fra maestro e discepolo nella confraternita sufi, però, è diluita nella complessa dinamica di verticalità e orizzontalità fra pari, dove l’imam abi (lo studente più vecchio e avanzato nel percorso spirituale) è responsabile della formazione dei più giovani, dando l’esempio e favorendo lo sviluppo di una serie di “disposizioni”, come la pazienza, il sacrificio di sé, l’amore per l’altro, nella costruzione di una vita comunitaria. Coniugando l’osservazione etnografica con una prospettiva genealogica, Vicini rintraccia, e fa emergere, elementi di rottura, ma anche rilevanti continuità in idee, concetti e conoscenze radicate nella tradizione islamica alla quale Suffa e Gülen, attraverso Nursi, continuano ad attingere per elaborare risposte alle sfide esistenziali ed epistemologiche con cui si confrontano. Ed è proprio l’idea di Islam come tradizione – intesa come “un insieme di repertori intellettuali attraverso i quali i musulmani si costituiscono ontologicamente come persone impegnate in uno specifico programma di formazione etica e impegno nella società” (15) – che consente a Vicini di mostrare come la rielaborazione di questi repertori dia vita a modalità di abitare il mondo basate su un progetto di società che si pone come alternativo alla logica moderna secolare.

Come ben argomenta Vicini, sebbene il pensiero di Nursi sia profondamente influenzato dalla cosmologia sufi, l’enfasi sulla lettura segna un’importante rottura rispetto alle modalità di trasmissione orale della conoscenza da maestro a discepolo tipica della confraternita. Nella comunità Suffa (Capitolo 3), dove la dimensione meditativa e speculativa riveste un ruolo primario, la lettura ciclica e reiterata dei testi di Nursi, un’opera di oltre 6000 pagine dal linguaggio metaforicamente denso, ha il fine di “coltivare, raggiungere, e mantenere lo stato di consapevolezza come musulmani” (105). Come la lettura ciclica permette di penetrarne la complessità semantica del testo e di avvicinarsi progressivamente ai significati nascosti della rivelazione, così la pratica meditativa e gli esercizi intellettuali di carattere deduttivo conducono gli studenti alla “consapevolezza che tutto a questo mondo non è che il riflesso dell’esistenza di Dio, vale a dire qualcosa di transitorio ed effimero, inclusa la loro vita” (129). Se, da un lato, la trascendenza diviene tangibile nell’osservazione dei fenomeni naturali, dall’altro, la comprensione della caducità dell’esistenza umana che emerge da questa osservazione svela il suo intimo legame con un ordine più grande. Discostandosi da pratiche esoteriche sufi come dhikr, Suffa segue Nursi nel praticare la riflessione (tefekkür), intesa come “uno specifico tipo di esercizio meditativo basato sulle capacità percettive del cuore e della relativa facoltà sull’immaginazione, che è finalizzata a decifrare Dio dall’osservazione dei fenomeni naturali” (110). L’approssimarsi al significato della rivelazione, sottolinea Vicini, non è un mero esercizio intellettuale, ma un movimento “mediato dal cuore […] centro dell’anima (ruh) e di ogni tentativo umano di comunicare con la trascendenza” (117).

Queste pratiche meditative non conducono al distacco ascetico quanto piuttosto proiettano il soggetto nel fine ultimo di “servire la società” attraverso il coinvolgimento attivo dei devoti nel progetto di riforma sociale (Capitolo 4). Mentre la comunità Suffa resta vicina allo scopo originario di Nursi di promuovere circoli di lettura della Risale, nella comunità Gülen l’enfasi è posta sull’idea di “servizio religiosamente ispirato” (hizmet), inteso da Nursi come diffusione del messaggio coranico attraverso la Risale, e reinterpretato da Gülen come “motore per promuovere il coinvolgimento nella società” (48). Vicini mostra come l’ideale di “servire la società” coincida, in Gülen, con la missione di “crescere nuove generazioni di musulmani pii e istruiti che possano contribuire al progresso della società” (132) attraverso una “pedagogia degli affetti” (151) fondata sull’amore, sul prendersi cura e sulla responsabilità che legano l’abi e gli studenti più giovani. Questa spinta verso il sociale delinea un modello educativo, basato sulla riattivazione di pratiche e idee di civiltà e socialità di lunga durata, che si pone come alternativo al progetto nazionale. Come dimostra Vicini, la natura espansiva di Gülen –in altre parole, la volontà di accrescere la sua influenza sociale della comunità e di formare una nuova classe dirigente che possa penetrare nelle istituzioni— renderà carica di tensioni la relazione con l’ordine sociale e politico: dalle collisioni con il Partito di Giustizia e Sviluppo (APK) nel 2013 fino al tentato colpo di stato del 15 giugno 2016.

Combinando un’elaborata riflessione teorica con una scrittura etnografica attenta alla genealogia di idee e pratiche, Reading Islam contribuisce in modo originale a mantenere aperto il dialogo critico con Talal Asad, Saba Mahmood e i numerosi studiosi che si confrontano con la loro eredità teorica. Con questi autori, Vicini condivide l’impresa intellettuale di andare oltre i limiti dei presupposti liberali e secolari che abitano, spesso in modo implicito, le scienze sociali, per avvicinarsi alle idee di società e di umanità che prendono vita nei movimenti revivalisti islamici contemporanei. Al contempo, percorre un sentiero che si discosta dalla prospettiva teorica di questi autori per aprire l’analisi all’orizzonte della trascendenza e alle dinamiche intersoggettive del divenire etico dei soggetti. Vicini mostra come la trascendenza, generalmente omessa dall’antropologia dell’Islam, divenga terreno tangibile di riflessione epistemologia ed etica. Un ulteriore contributo alla riflessione antropologica sull’etica è la disamina del legame fra libertà e trascendenza all’interno della tradizione Islamica (Capitolo 5). Come sostiene James Laidlaw (2013:1-44), il sospetto verso le implicazioni ideologiche e politiche del concetto occidentale prevalente di libertà l’ha resa una strategia retorica per problematizzare le narrative liberali più che un oggetto di indagine antropologica in sé e per sé. Tematizzando il legame fra libertà e trascendenza, Reading Islam contribuisce a restituire questi concetti all’analisi sociale. Come altri studiosi che hanno posto la libertà al centro dell’azione etica[3], Vicini mostra che esistono, all’interno della tradizione Islamica, genealogie della libertà che non si basano sull’idea di soggetto autonomo e autofondato della moderna filosofia occidentale. La riflessione sulla libertà, tuttavia, resta in gran parte sul piano filosofico e analitico, senza indagare in dettaglio le diverse manifestazioni etnografiche e le pratiche che la sostengono all’interno delle due comunità, come accade invece per l’idea di responsabilità, che assume una maggior densità etnografica. Al di là di queste osservazioni a margine, Reading Islam è un testo particolarmente utile e stimolante per chiunque si interessi di Islam, modernità, pratiche intellettuali, etica all’interno e oltre i confini dell’antropologia.

Bibliografia

Abenante, P., Vicini, F. 2017. Interiority unbound: Sufi and modern articulations of the self. Culture and Religion, 18: 57-71.

Gaibazzi, P. 2015. The quest for luck: fate, fortune, work and the unexpected among Gambian Soninke hustlers. Critical African Studies, 7: 227-42.

Hirschkind, C. 2006. The Ethical Soundscape: Cassette Sermons and Islamic Counter-publics. New York: Columbia University Press.

Laidlaw, J. 2002. For an Anthropology of Ethics and Freedom. Journal of the Royal Anthropological Institute, 8 (2): 311–332.

Laidlaw, J. 2013. The Subject of Virtue: An Anthropology of Ethics and Freedom. New York: Cambridge University Press.

Mahmood, S. 2005. Politics of Piety: The Islamic Revival and the Feminist Subject. Princeton: Princeton University Press.

Mahmood, S. 2001. Feminist theory, Embodiment, and the docile agent: some reflections on the Egyptian Islamic revival. Cultural Anthropology, 6 (2): 202-236.

Menin, L. 2020. ‘Destiny is written by God’: Islamic predestination, responsibility, and transcendence in Central Morocco. Journal of the Royal Anthropological Institute, 26 (3): 515–532.

Mittermaier, A. 2011. Dreams that Matter: Egyptian Landscapes of the Imagination. Berkeley: University of California Press.

Pandolfo, S. 2007. ‘The burning’. Finitude and the politico-theological imagination of illegal migration. Anthropological Theory, 7 (3): 329-363.

Robbins, J. 2012. On becoming ethical subjects: freedom, constraint, and the anthropology of morality. Anthropology of this century. 5 (available on-line http://aotcpress.com/articles/ethical-subjects-freedom-constraint-anthropology-morality/ )

Robbins, J. 2007. Between Reproduction and Freedom: Morality, Value, and Radical Cultural Change. Ethnos: Journal of Anthropology, 72 (3): 293-314.

Schielke, S. 2009. Being good in Ramadan: ambivalence, fragmentation and the moral self in the lives of young Egyptians. Journal of the Royal Anthropological Institute, 15: 24-40.

Soares, B., & Osella, F. (2009). Islam, Politics, Anthropology. The Journal of the Royal Anthropological Institute, 15: 1-23.



[1] Mi concentro su Saba Mahmood, per la peculiare risonanza che ha avuto il suo lavoro nel dibattito antropologico, ma va ricordato l’altrettanto importante lavoro di Charles Hirschkind 2006.

[2] Si veda, ad esempio, Gaibazzi 2015; Abenante, Vicini 2017; Menin 2020.

[3] Si veda, ad esempio, Laidlaw 2002, 2013; Robbins 2007, 2012.