Esperire l’alterità. "Migrantour" tra turismo e riqualificazione

Riflessioni a partire da un’etnografia delle passeggiate interculturali di Porta Palazzo a Torino

Sara Iandolo

Università di Torino

Indice

Le ragioni di un intervento
Porta Palazzo tra riqualificazione e turismo
Esperire il multiculturalismo: migranti e culture ad uso e consumo turistico
Turismo responsabile e turismo di massa: un legame a doppio filo
Bibliografia

Abstract. This work analyzes intercultural tours of Porta Palazzo and their role in building symbolic and economic value around places of multiculturalism. The ethnography of Migrantour, which guides tourists to discover otherness in the “world at home”, has made it possible to maintain two levels of analysis: the first concern of how cultural difference is produced and consumed as a commodity in the tourist experience. The second has to do with the co-production of the place as a touristic attraction: walkers and tourists, when they consume the place and the otherness that marks it, contribute to produce it. The tours encourage mechanisms of aestheticization and exoticization of migrants through selective narratives and cultural stereotypes and the display of objects, food and people, creating symbolic value that big investors capitalize on, contributing to activate gentrification and touristification process. For these reasons, in the case of Porta Palazzo, responsible tourism cannot be entirely separated from mass tourism: on the contrary, the two phenomena are extremely intertwined and very often the former feeds the latter.

Keywords. Intercultural tours; touristic experience; gentrification; touristification; sustainable tourism.

Le ragioni di un intervento

Torino, ottobre 2018. Io e alcune colleghe stavamo lavorando alla scrittura di un articolo su piazza della Repubblica, sede dello storico mercato di Porta Palazzo, travolta da progetti di riqualificazione e grandi investimenti che di lì a poco sarebbero sbarcati sulla piazza contribuendo a cambiarne il volto. In questo contesto ho intercettato il progetto Migrantour che organizza “passeggiate interculturali” proprio in quel luogo. Il 20 ottobre mi sono dunque trovata insieme ad un folto gruppo di turisti per compiere una passeggiata tra i banchi e i negozi “etnici”, guidata da una accompagnatrice interculturale, la quale proponeva ai partecipanti un “viaggio sotto casa” alla scoperta dell’alterità di Porta Palazzo. In circa due ore la guida ci ha parlato di varie comunità migranti che abitano la zona e la città di Torino: quelle dei cinesi, dei latinoamericani, dei marocchini, dei romeni e perfino dei meridionali, con l’intento di delineare quella diversità culturale multiforme a partire dai flussi migratori che stratificano la storia cittadina. Da antropologa sono rimasta estremamente stupita delle modalità con cui si parlava di questi “Altri”. Più che decostruire stereotipi, a me sembrava che questi ultimi venissero continuamente prodotti e riprodotti durante le passeggiate. Si può parlare di tutte queste presunte culture in così poco tempo e in quel vasto e complesso spazio, tra un banco di contadini cinesi e una macelleria halal?

Ci fermiamo davanti all’Oriental Market. Il nostro posizionamento nello spazio mi fa riflettere e allo stesso tempo mi imbarazza: siamo tutti bianchi, raggruppati intorno alla guida, mentre di fronte sono sedute molte persone (soprattutto donne) nere che conversano, vendono alcuni prodotti e ci guardano. Allo stesso tempo, noi le guardiamo. Una turista ad un certo punto fa una domanda alla guida: “Cosa ci fanno queste persone nere qui sedute?”. Le “persone nere” diventano oggetto del nostro interesse e del nostro sguardo, come i prodotti esotici nelle bustine che la accompagnatrice interculturale ci mostra continuamente (Nota di campo, 20 ottobre 2018).

Quella passeggiata a cui ho partecipato quasi per caso, è stata la prima di tante. Quando ho saputo che il progetto aveva vinto il premio SIAA 2018 ho deciso di scrivere la mia tesi di laurea proprio su questi insoliti tour di Porta Palazzo, luogo in cui circa dieci anni fa è nato il progetto Migrantour. Le riflessioni che seguono sono il frutto di una etnografia durata un anno intero (da ottobre 2018 a novembre 2019) durante il quale ho avuto modo di partecipare a molte passeggiate, di parlare con i partecipanti e le partecipanti e con le accompagnatrici interculturali (tutte donne nei tour da me frequentati) e di osservare dall’interno questa particolare pratica turistica. I miei studi di antropologia e sociologia urbana e del turismo, congiunti all’interesse che avevo nell’approfondire i processi di cambiamento che attraversavano – e attraversano – il mercato di Porta Palazzo, mi hanno spinto a concentrare l’attenzione principalmente su tre aspetti: l’analisi dell’esperienza turistica che i tour offrono, le modalità con cui il multiculturalismo diviene oggetto del consumo turistico e il ruolo che le passeggiate hanno nell’attivare processi di turistificazione del luogo, estremamente legati a dinamiche di gentrification. L’intervento che segue è dunque da intendersi come uno sguardo parziale riguardo la complessità del progetto Migrantour che i colleghi (Mellino e Vietti 2019, Pozzi e Ceschi 2019, Falconieri 2020, Lo Re 2020) hanno ben rappresentato nello stimolante dibattito recentemente ospitato dalla rivista Antropologia Pubblica.

Porta Palazzo tra riqualificazione e turismo

L’area di Porta Palazzo si sviluppa intorno a Piazza della Repubblica, la quale ospita uno dei mercati più grandi d’Europa. Nonostante sia molto vicina al centro cittadino, nell’immaginario collettivo non viene associata ad esso: c’è chi la definisce una “periferia del centro” o il “centro della periferia”, mentre nelle parole della sindaca di Torino diviene addirittura una “periferia esistenziale”. È stata, nel corso del diciannovesimo secolo, un luogo di primo approdo per immigrati che dalle regioni limitrofe e dal sud Italia si trasferirono a Torino per motivi di lavoro. Oggi accoglie migranti provenienti da paesi extra-europei: molti abitanti e frequentatori dell’area, ma anche imprenditori e venditori del mercato, sono infatti stranieri. Porta Palazzo dunque, similmente a molti luoghi etichettati come “multietnici”, viene presentata dalla narrazione mainstream come una zona degradata, di spaccio e criminalità, insicura e dunque da riqualificare. A partire dal 1998, anno in cui è stato istituito un organo di governance del territorio con il ruolo di gestire i progetti di rigenerazione urbana, l’area è stata al centro di numerosi progetti di riqualificazione, alcuni quasi impercettibili, altri di notevole impatto. Arrivando ai nostri giorni, l’anno 2019 è stato intenso per Porta Palazzo: sbarca nella piazza Mercato Centrale Torino, società che da Firenze a Roma ha portato il suo marchio creando un polo del food di qualità, con banchi di alcuni tra i più famosi e stellati chef torinesi e non solo. Nello stesso anno, un altro avvenimento ha segnato il mutamento della zona. Una parte del mercato delle pulci, chiamata nel gergo cittadino “suq” per la preponderanza di venditori e frequentatori stranieri e per la tipologia di prodotti che si vendevano e acquistavano – cianfrusaglie di ogni tipo dai prezzi molto bassi esposte su lenzuoli o stoini – è stata sgomberata. A novembre 2019, un terzo intervento ha fatto capolino ai margini della piazza: si tratta dell’ostello Combo della società di un noto investitore torinese, con circa 200 posti letto accompagnati da bar, ristorante, spazi espositivi e quant’altro. Un ultimo tassello della riqualificazione è stato annunciato per il futuro: il rifacimento dell’area del mercato ittico che prevede l’installazione di botteghe per lo street food, friggitorie e ristoranti di qualità è previsto per il 2021.

Se nel 2018 il processo di turistificazione dell’area era considerato da Monica Gilli e Sonia Ferrari (2018) ad uno stadio iniziale, in soli due anni il panorama della piazza è nettamente cambiato: Porta Palazzo è emersa sempre più impetuosamente come attrazione turistica come si evince dalla sua crescente presenza non solo nelle guide alternative e negli itinerari di turismo responsabile, ma anche nel circuito del turismo mainstream. Le varie guide, siti di promozione turistica della Regione e della Città compresi, insistono sulla dimensione multiculturale del mercato e la scoperta dei suoi banchi diventa uno straordinario viaggio antropologico [1][1]. Associato a Portobello, alla Bouqueria e alla Vucciria[2][2], Porta Palazzo è rappresentato come uno di quei mercati che hanno subito o stanno subendo importanti cambiamenti. La rinnovata attenzione per il food ha spesso portato al modificarsi dei mercati in quelle che Gonzalez e Waley (2013) hanno definito come nuove frontiere di gentrification: lentamentetrasformati in luoghi di consumo per classi medie che si sostituiscono a quelle popolari, le quali li utilizzavano per fare la spesa a buon prezzo. Negli ultimi anni, dunque, molti mercati europei sono diventati luoghi di leisure a servizio dell’industria turistica, grazie alla sempre crescente attenzione sul cibo e alle campagne di food branding intraprese dalle città e alla promozione dei mercati come luoghi in cui sperimentare nuove esperienze di consumo che hanno a che fare con la feticizzazione del cibo locale (ibidem), ma anche “etnico”.

A Porta Palazzo dunque, le passeggiate Migrantour si pongono oggi a cavallo tra i due fenomeni distinti ma connessi di gentrification e di turistificazione dell’area.

Scoprire l’alterità che abita i nostri quartieri è infatti la motivazione di «un pubblico eterogeneo di popolazioni urbane interessate ad attivare delle performance di scoperta delle città che visitano o di riscoperta di quelle in cui vivono, attraverso una sorta di simulazione dell’esperienza turistica» (Rabbiosi 2016). Le passeggiate urbane alla scoperta del quartiere e della sua anima multiculturale sono praticate e spesso ideate da abitanti che si interessano al quartiere tentando di migliorarlo, di promuoverlo e valorizzarlo animati da una sorta di “attivismo civico”, nel tentativo di rovesciarne lo stigma negativo. A Porta Palazzo infatti, a partire dai primi anni duemila, ci sono state numerose iniziative organizzate dagli allora nuovi abitanti per invogliare cittadini a scoprire la bellezza del luogo, spesso incentrate sulla multietnicità. Lo stesso Vietti, come afferma nella sua risposta a Mellino, è un abitante di Porta Palazzo (Vietti 2019: 130). Il momento della scoperta dell’alterità è in effetti un elemento centrale nei processi di gentrification:

Si tratta di un’appropriazione culturale [...che] spesso inizia nei quartieri storici della città con la passeggiata. Questo giro è inizialmente costituito da volontari che individualmente vengono affascinati dalla combinazione di arcaismo e bellezza, o di autenticità e design, che hanno languito per anni sotto l’uso delle classi popolari (Zukin 1992, in Semi 2004: 100).

Quelli che in letteratura sono stati definiti “pionieri della gentrification” o gentrifiers sono abitanti di classe media o superiore che arrivano nel quartiere quando esso è investito da uno stigma territoriale e da una situazione di degrado fisico degli immobili e del loro conseguente basso valore. Essi si distinguono per la configurazione di classe e gli stili di consumo: il loro movimento residenziale, le pratiche che attivano e le narrazioni che producono sul quartiere influiscono sul cambiamento dello stesso e sull’aumento del suo valore immobiliare (Corbillé 2009, Semi 2015).

Dunque, gli ideatori di questo tipo di passeggiate sono (o forse ormai sono stati) abitanti. Tuttavia, anche alcuni dei frequentatori dei Migrantour rientrano in questa categoria: nuovi residenti intenzionati ad approfondire la conoscenza del quartiere e spesso inseriti in associazioni o in reti di cittadini attivi. Durante le passeggiate, «turisti e residenti sembrano mettersi allo specchio, diventare sempre più simili, ma anche passare uno dalla parte dell’altro, invertendo i propri ruoli» (Rabbiosi 2016). In questo specchiarsi di turisti e residenti e nell’intrecciarsi delle dinamiche di gentrification e di turistificazione, questo tipo di passeggiate ben si presta ad essere analizzato nell’ambito del turismo. Esse infatti guidano il frequentatore (sia esso abitante o no) ad esperire la città turisticamente, consumandola in senso fisico, ricreativo, storico, culturale, commerciale, simbolico ed estetico e promuovono una estetizzazione del quotidiano che ha molto a che fare con lo sguardo turistico. Le passeggiate possono inoltre essere riconducibili al fenomeno dell’escursionismo che nella letteratura è definito come lo spostamento dalla propria residenza abituale che non prevede un pernottamento, ma che fa parte della pratica turistica a tutti gli effetti, in quanto costituisce spesso il modo concreto per avviare la costruzione di un flusso, potenziando la forza attrattiva della località (Nocifora 2008). Svolgendosi da parecchi anni, potrebbero aver contribuito non poco alla produzione di Porta Palazzo come luogo turistico.

Esperire il multiculturalismo: migranti e culture ad uso e consumo turistico

Se per quanto riguarda Migrantour Catania, Irene Falconieri ha rilevato che «l’iniziativa non è pensata infatti principalmente nei termini di un’esperienza turistica ma come percorso di co-costruzione della conoscenza della storia locale che intende al contempo immaginare e promuovere nuove forme di cittadinanza» (Falconieri 2020: 213), la mia etnografia delle passeggiate interculturali torinesi si è fondata al contrario proprio sull’analisi dell’esperienza turistica che esse propongono durante i tour di Porta Palazzo. Qui infatti le passeggiate sono erogate da un vero e proprio tour operator di turismo responsabile, Viaggi Solidali.

Nel capitalismo odierno, la produzione e la vendita di esperienze sono alla base dell’industria culturale e in particolare dell’industria turistica: comprare un servizio turistico significa comprare una particolare esperienza (Britton 1991). Infatti, «l’industria culturale incoraggia la ricerca costante di novità e di esperienze alternative: nel caso del turismo, culture, popolazioni, luoghi, sights, comportamenti e ambientazioni sconosciuti e insoliti vengono incorporati nel sistema commerciale e istituzionale, costruito proprio per soddisfare la domanda di nuove esperienze» (Britton 1991: 454, trad. mia). Moltiplicare e diversificare i soggiorni turistici diventa quindi, per il turista-consumatore, il mezzo per accumulare esperienze di vita o piuttosto «“briciole” d’esperienza di altre vite (la povertà di un villaggio del Sahel, l’ambiente naturale di una foresta “vergine” equatoriale, …) per dare un senso e una coerenza alla propria» (Bachimon, Decroly, Knafou, 2016). Dunque, la gamma di esperienze proposte e vendute sul mercato è estremamente varia e può essere potenzialmente infinita in quanto ogni cosa può diventare un’attrazione appetibile per lo sguardo turistico.

I portatori dell’alterità nel “mondo sotto casa” che le passeggiate Migrantour si propongono di far scoprire al visitatore sono senz’altro i migranti. Investiti da costanti e ininterrotte attenzioni, che hanno che fare sia con discorsi e pratiche stigmatizzanti e razziste, ma anche con sentimenti e iniziative solidali, umanitarie e accoglienti, migrazioni e migranti sono oggetto di dibattiti decennali che hanno contribuito a costruirli come vere e proprie attrazioni. Riprendendo le parole del sociologo Dean MacCannell (2005), l’attrazione è il risultato di un processo di produzione che coinvolge l’intera società.

Se lo scopo delle passeggiate interculturali è quello di rendere protagonisti migrazioni e migranti, le narrazioni e i racconti che vengono scelti sono quasi sempre storie di percorsi migratori di successo. Emerge un costante tentativo di riabilitare la figura del migrante in quanto imprenditore e in quanto lavoratore. È capitato quasi in tutte le passeggiate che le accompagnatrici interculturali facessero riferimento all’apporto che i lavoratori migranti hanno nell’economia italiana incidendo nel PIL nazionale, o sottolineando la loro importanza nello svolgere lavori manuali come muratori (associati alla migrazione rumena) o badanti (associati ai latinoamericani).

Durante i tour, le “guide-migranti” hanno dunque la possibilità di presentare gli “Altri” e di presentare sé stesse in modo accettabile ai turisti, il più delle volte italiani, bianchi, di classe media. In una società che fa fatica ad accettare la presenza di stranieri, di corpi altri, pesanti e scomodi, che rivelano le contraddizioni della globalizzazione e le condizioni di sfruttamento su cui si basa il sistema economico mondiale, una società che riesce ad accettarli – nel migliore dei casi – solamente quando sono braccia utili per lavorare a basso costo, essere produttivi, lavoratori o studenti, avere la partita IVA e contribuire al PIL nazionale appaiono come qualità positive da mostrare per ribaltare la retorica razzista e dominante. Rappresentarsi come lavoratori li rende dunque meno “Altri”. Il non detto, l’implicito di questi discorsi, sembra però rivelare una ulteriore divisione: quella tra stranieri “per bene”, volenterosi e produttivi, e “per male”, non meritevoli, inattivi e approfittatori (Pitch 2013). In linea con la criminalizzazione del povero tipica dell’ideologia neoliberista che, scaricando sull’individuo gli onori ma soprattutto gli oneri che derivano dall’assunzione del rischio (in questo caso quello che si corre migrando), cela e occulta le disuguaglianze strutturali e i rapporti di potere che vi sono alla base, ponendo l’enfasi sulla responsabilità individuale.

Bisogna però notare che i tour lasciano agli accompagnatori interculturali la possibilità di approfondire alcune tematiche. Miguel Mellino si chiedeva «in quale misura nella pratica le auto-narrazioni dei migranti restano autonome dal contesto, ovvero riescono a sottrarsi dal luogo di enunciazione entro cui vengono sollecitate a “parlare” dall’immaginario antropologico umanistico dominante»(Mellino 2019: 126). L’osservazione etnografica permette infatti di notare che alcune guide riescono ad inserire nei tour elementi e discorsi che tentano di complessificare le problematicità legate alle migrazioni. È capitato che un’accompagnatrice in particolare accennasse alla questione dei rifugiati politici denunciando la tendenza della commissione territoriale a valutare le storie personali in senso moralistico e accusatorio. L’inserimento di tali discorsi è però prerogativa della singola guida e dipende dal suo habitus, dalle modalità e dai periodi in cui ha avuto accesso alla formazione Migrantour, che sono stati differenti nel corso degli anni in quanto legati ai finanziamenti a cui il progetto ha avuto accesso.

Se si notano timidi tentativi di approfondimento di dinamiche strutturali, la maggior parte dei discorsi delle guide sviluppa una continua costruzione delle differenze e delle culture, le quali vengono strategicamente impacchettate ed essenzializzate per far sì che il turista possa “scoprirle” e consumarle. Più che venire decostruiti, nei discorsi delle guide gli stereotipi culturali vengono continuamente prodotti e riprodotti. La mia impressione è che queste narrazioni che reificano le culture sono parte imprescindibile dell’esperienza turistica perché fanno sì che le culture diventino merci, vendibili e consumabili dai turisti cosmopoliti. Esse sono materializzate in entità visibili: oggetti, cibi o persone che le marcano. Come ogni attrazione turistica, anche le culture hanno dei markers (MacCannell 2005): oggetti o cibi che rimandano ad essa. Dunque le guide portano i turisti alla ricerca della “lingua marocchina” o del venditore pugliese o cinese mostrando prodotti esotici, i quali molto spesso vengono esperiti dai partecipanti non solo tramite lo sguardo, ma anche per mezzo degli altri sensi. I tour interculturali di Porta Palazzo giocano molto sul cibo, il quale diviene un elemento essenziale per marcare la tipicità culturale. Esso «diventa marker di una cultura, che si muta esso stesso in attrattiva turistica e crea a sua volta i propri markers, diventando così un “patrimonio” o “heritage”» (d’Eramo 2017: 194); si fa souvenir che i turisti acquistano in ricordo del loro viaggio, ma è anche parte integrante del viaggio ed è esso stesso “visitato” (ibidem). Il cibo è «la forma più tattile, più assaporabile, più annusabile con cui l’Altro si offre al turista» (ibidem: 189); anzi, proprio perché a volte è «l’unica interazione che va oltre la dimensione puramente visiva e si fa carne, consistenza, pastosità, l’atto di assaggiarne i cibi è il modo principale per “degustare” una cultura Altra» (ibidem: 190).

In questo modo la diversità culturale, tramite l’esperienza turistica nella sua forma di merce, viene pacificata e addomesticata, messa in scena ma anche agita, ed edulcorata da tratti concepiti come negativi o conflittuali per diventare oggetto di consumo.

Turismo responsabile e turismo di massa: un legame a doppio filo

Il turismo responsabile non può essere del tutto scisso da quello di massa, anzi, i due fenomeni sono estremamente intrecciati e molto spesso il primo nutre il secondo. Già Mellino ha sollevato questa problematica in riferimento al progetto Migrantour:

Come sappiamo, da qualche anno a questa parte, il turismo, per dirla in modo semplice, non è più quello che era dieci anni fa: oggi la “turistificazione” delle città è uno dei tentacoli fondamentali degli attuali processi di gentrificazione urbana (Cfr Semi 2015). È così che la “turistificazione” è un elemento alla base di ciò che si può chiamare una crescente “razzializzazione” non solo dello spazio urbano, ma anche della stessa “forza lavoro” su cui vengono a strutturarsi i diversi processi di gentrificazione. Dato questo quadro, non è molto chiaro in che senso si possa parlare oggi di “turismo responsabile” nelle città (Mellino 2019:126).

Nel tentativo di evitare gli effetti devastatori del turismo di massa, il turismo responsabile si presenta come un insieme di attività turistiche fruite da un basso numero di utenti, che non provocano una modificazione dei paesaggi e della vita delle popolazioni ospitanti, ma piuttosto proteggono le risorse ambientali e rispettano e includono i locali nella progettazione, nell’organizzazione e nella gestione turistica. I promotori del turismo responsabile utilizzano quindi codici etici e morali per contrastare gli effetti distruttivi di un eccessivo sfruttamento economico e porre invece l’accento sui concetti di equità, relazione, prossimità, responsabilità e partecipazione. La retorica del turismo alternativo si avvale di prospettive e di stili discorsivi che lo delineano come se fosse un “turismo meno turistico” e che lo pongono al di fuori e contro il turismo di massa lasciando a quest’ultimo una connotazione negativa (Simonicca 2006). In effetti, già dall’analisi delle brochures del progetto Migrantour si nota un continuo rimando al viaggio, alla scoperta, all’autenticità dell’incontro interculturale, nel tentativo di richiamare l’immaginario positivo del viaggio opposto a quello negativo del turismo. In accordo con Simonicca, si può affermare che «se volessimo spingere a fondo la chiarificazione del concetto [di turismo responsabile] ci troveremo però di fronte a gravi difficoltà analitiche» (ibidem: 47-48). L’associare particolari aggettivi alla pratica turistica non priva quest’ultima di quei tratti essenziali che la rendono coerente con il più ampio sistema capitalistico: consumo e mercificazione di tutto ciò che tale pratica incontra nel suo svolgersi. Inoltre, passeggiatori e turisti, nel momento in cui consumano il luogo e l’alterità che lo marca, contribuiscono a produrlo. Se lo spazio è costruito dalla dialettica tra le forze materiali che lo producono e i progetti individuali che lo trasformano (Semi 2007), i visitatori non svolgono solamente la funzione contemplativa, ma partecipano alla costruzione del paesaggio divenendo elementi di esso. I gruppi di turisti che si fermano davanti ad un banco alimentare ad ammirare prodotti “etnici” creano affollamento nel mercato e nella piazza, intralciando la strada ai consumatori quotidiani. Il mercato, luogo per eccellenza del consumo, subisce in questo modo un reindirizzamento dell’uso “tradizionale”, ovvero della compra-vendita dei cibi, e diviene oggetto di consumo estetico e turistico.

Nelle città, e soprattutto a Porta Palazzo, l’intreccio tra turismo responsabile e turismo mainstream risulta ormai estremamente evidente. Il valore simbolico, economico e geografico degli spazi del multiculturalismo (e dunque di Porta Palazzo in questo caso) prodotto dalle passeggiate Migrantour, spiana il terreno alla capitalizzazione di esso da parte dei grandi investitori che puntano al profitto. A questo proposito, la descrizione che si legge sul sito dell’Ostello Combo è emblematica:

Scegliere un quartiere significa sposare un’idea di comunità e di bellezza. Scoprire l’antica caserma dei pompieri di Porta Palazzo a Torino è stato un vero e proprio colpo di fulmine. Un edificio imponente ma in armonia con il contesto urbano, magnetico e al tempo stesso aperto al mondo, in cui estetica postindustriale, energie multietniche e identità locale si incontrano e si fondono. Il tutto a pochi passi dal più grande mercato d’Europa, nel cuore di una delle città più sofisticate e imprevedibili d’Italia[3][3] (corsivo mio).

Il riferimento alle energie multietniche fa intravedere la volontà di sfruttare gli elementi che le iniziative dei nuovi abitanti o le passeggiate di turismo responsabile hanno contribuito a valorizzare e a mettere in luce durante tutti questi anni. Ovviamente, nel passaggio dalle pratiche “dal basso” a quelle promosse dai grandi investitori c’è un enorme scarto sia di intenti che di risultati. I grandi progetti sono funzionali agli investitori per ricapitalizzare il plusvalore e crearne altro (Harvey 2012) e il turismo urbano, nel configurarsi come una vera e propria industria, rappresenta una grande opportunità per i grandi capitalisti. L’enorme disparità di capitale economico tra i diversi attori, da cui consegue un differente potere di costruire e significare lo spazio urbano, si poggia però su un terreno comune che è, in questo caso, la mercificazione e la patrimonializzazione del luogo tramite il multiculturalismo. Le immagini di diversità addomesticata e priva di conflitti sono utili a questi attori per diversificare il target e fidelizzare un certo tipo di clientela turistica giovane, cosmopolita e creativa. I diversi attori, con gli itinerari e le narrazioni che propongo, contribuiscono dunque tutti al processo di produzione del luogo in senso turistico.

L’ultimo tassello di congiunzione tra Migrantour e il turismo di massa si può notare nei nuovi food tour che, a partire da ottobre 2020, sono realizzati da un gastronomo torinese in collaborazione con Mercato Centrale Torino.

Porta Palazzo […] rappresenta anche il Bazar multietnico più importante della nostra città, dove si danno appuntamento i torinesi e i cittadini del mondo per fare la spesa di prodotti locali e di terre lontane. […] Sarà un blitz gastronomico per imparare a fare la spesa nel Suq maghrebino, tra banchi di contadini cinesi, botteghe rumene, negozietti e gastronomie esotiche colme di spezie e ingredienti sconosciuti, che potrete scoprire tra curiosità e aneddoti, raccolti in 30 anni di viaggi intorno al mondo[4][4].

Seppur con modalità estremamente differenti, sia dal lato della progettazione che da quello degli intenti, anche questo tour ha la finalità di portare il visitatore alla scoperta del multiculturalismo di Porta Palazzo tramite il cibo. E non è l’unico: anche Eatnico[5], finanziato dal grande progetto di riqualificazione AxTO[5][6], ha recentemente organizzato passeggiate nei ristoranti “etnici” di Aurora, quartiere confinante a nord con Porta Palazzo, guidate da giovani stranieri o di seconda generazione chiamati “mediatori gastronomici”.

Vista la proliferazione di questo tipo di passeggiate urbane e il loro ruolo nell’incoraggiare meccanismi di estetizzazione dell’urbano, nonché della migrazione e dei migranti stessi, è necessario continuare ad interrogarsi collettivamente sull’apporto dell’antropologia in questo senso. Sicuramente sarebbe necessario ragionare in modo più approfondito sul ruolo dei migranti che direttamente e indirettamente prendono parte ai tour: in che modo partecipano ai processi di gentrification e turistificazione? Ne hanno consapevolezza, li subiscono o li sfruttano strategicamente a proprio vantaggio? Per riflettere su questi temi è necessario tenere presente che le disuguaglianze di classe sono presenti anche nel variegato gruppo degli “Altri” e che dunque vi sono delle importanti differenze tra gli inconsapevoli passanti fruitori del mercato, i quali divengono spesso oggetto degli sguardi dei turisti, e gli imprenditori “etnici”. I secondi in effetti, grazie ai legami con Migrantour conquistano una clientela variegata e dunque hanno modo di ampliare le loro attività commerciali. Considerare la classe intersezionale alla “razza” (Levine-Rasky 2011 et al.) fa però immaginare che i primi non ne risultino avvantaggiati allo stesso modo. A questo proposito bisogna notare, come accennato nei paragrafi precedenti, che la maggior parte dei frequentatori delle passeggiate sono bianchi e di classe media. Non possiamo pensare che il loro sguardo sugli “Altri” sia neutro, in quanto richiama la memoria della colonizzazione, del privilegio bianco e della differenza di classe. Queste riflessioni sono tuttavia solo abbozzate e andrebbero indagate con una maggiore precisione etnografica e teorica, nonostante analizzare i “turistati” (d’Eramo 2017) non è in effetti facile proprio per la natura mobile e fluida del turismo stesso.

Da giovane antropologa e lavoratrice precaria del terzo settore, il quale è ormai in balìa di filantropi di turno e dei più svariati investitori privati, mi rendo conto della necessità di “sporcarsi i pantaloni” e di accettare compromessi indossando quel sombrero di cui parlava Geertz (Pozzi 2019). Credo nell’apporto positivo degli antropologi e delle antropologhe nel mondo dell’associazionismo, in quanto con le loro competenze analitiche, critiche e riflessive possono realmente essere utili nella progettazione e nella valutazione di servizi, anche culturali. Continuo però ad avere dubbi su alcune modalità in cui il sapere antropologico viene applicato fuori dall’accademia. Mi chiedo quale sia l’apporto di Migrantour nel contrastare le strutture materiali del razzismo sistemico che ci pervade e in che modo agisca effettivamente sulla rappresentazione se quest’ultima, come mostrato in precedenza, conferma spesso stereotipi culturali. Mi pare ci sia urgenza di “spacchettare” la produzione di questi stereotipi a partire dalle narrazioni veicolate dalle brochures, fino ad arrivare a quelle presentate ai turisti. È necessario notare inoltre che i limiti e le contraddizioni di cui il progetto è portatore sono in parte intrinseci al fenomeno turistico in sé e dunque possono difficilmente essere sciolti. Se da un lato il turismo rappresenta un mezzo di conoscenza effettivo, grazie al ruolo dell’esperienza, dall’altro, in quanto industria, produce inevitabilmente effetti di estetizzazione e mercificazione. Credo però che l’articolata progettazione e la profondità della formazione che stanno dietro le passeggiate Migrantour siano gli elementi che le differenziano dalle altre e che vadano dunque valorizzati. Rinunciare a “impacchettare” le culture vorrebbe dire sicuramente rendere i tour meno vendibili sul mercato turistico, ma forse potrebbe arricchire la restituzione permettendo l’inserimento di elementi di complessità e consapevolezza politica.

Bibliografia

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[1] [1] https://scopriportapalazzo.com/il-quartiere-2/

[2] [2] Il riferimento è alla descrizione di Porta Palazzo presente nella guida Lonely Planet del 2010 di Luca Iaccarino.

[3] [3] https://thisiscombo.com/it/location/combo-torino/

[4] [4] https://www.ilgastronomade.com/

[5] [6] AxTO (Azioni per le Periferie Torinesi) è un progetto di manutenzione e rigenerazione urbana dalla durata di tre anni (2017–2019) realizzato dalla Città di Torino e co-finanziato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri nell’ambito del Bando Periferie. Gli interventi di AxTO sono diffusi in tutto il territorio torinese, anche se buona parte di essi hanno interessato l’area nord della città, già da parecchi anni al centro dell’attenzione mediatica e di investimenti importanti, di cui la sede direzionale della Lavazza è uno tra i più imponenti.