Diritti e pratiche della maternità al tempo dell’emergenza Covid-19.

Sradicamento e riconfigurazione del parto tra Pantelleria e Trapani

Ilaria Boiano

avvocata, Università Roma-Tre

Veronica Buffon

Università di Exeter, UK

Cristina Laura Cecchini

avvocata

Indice

Introduzione
La salute sessuale e riproduttiva quale diritto fondamentale delle donne: la cornice degli obblighi internazionali
Il punto nascita di Pantelleria: un esempio di razionalizzazione dei costi a scapito della salute riproduttiva delle donne
Il vissuto delle donne dell’isola: partorire da sole e protesta collettiva
Conclusioni
Bibliografia

Abstract. At the beginning of March 2020, the maternity unit at the local hospital (punto nascita) situated on the island of Pantelleria was closed by the State authority. Local pregnant women were forced to move at their own expense from the little island to Trapani (Sicily), for an indefinite period of time while waiting for their children to be born. Following this closure, a group of local women decided to promote civic protests denouncing the effects of the closure of the punto nascita. In this article, we combine legal and anthropological approaches to examine the international regulatory framework of sexual and reproductive health and the legislative reforms which have led to the progressive erosion of health services for women from Pantelleria. Yet, we offer a primary reflection on the collective and political responses articulated and enacted by the women from the island in response to the suspension of the maternal health care services. In conclusion, as a result of the dialogue and cooperation among the lawyers, the anthropologist and the civil society on possible future actions promoting women’s health rights, a map of the envisioned transformative strategies and potential strategic litigation will be presented with reference to the gender and feminist perspective.

Keywords. Women’s sexual and reproductive health; Italian health care system; citizenship; applied anthropology; legal feminism.

Introduzione

Attivo da decenni all’interno dell’ospedale Bernardo Nagar, dotato di una équipe medico-chirurgica e ostetrica, dopo anni di depauperamento strutturale e un funzionamento in deroga[1], il 1° marzo 2020 l’unico “punto nascita” di Pantelleria viene chiuso senza valutazione dell’impatto di questa decisione sulla vita delle donne. Ciò accadeva in contemporanea all’adozione delle misure di contenimento dell’emergenza Covid-19 a livello nazionale e senza tener conto del differenziato livello di diffusione del contagio nei vari contesti locali. A pochi giorni dalla chiusura del punto nascita, un gruppo di donne di diversa età e composizione sociale, alcune in stato di gravidanza, altre da poco madri insieme ad altre abitanti che negli anni hanno potuto partorire sull’isola, costituiva il comitato Pantelleria Vuole Nascere (nel prosieguo PVN), nominando portavoce l’abitante dell’isola Annalucia Cardillo[2], per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sul grave vulnus per l’intera comunità dell’isola conseguente alla chiusura del servizio. Poche settimane dopo la portavoce di PVN si metteva in contatto con l’Associazione Differenza Donna (nel prosieguo DD) chiedendo supporto per verificare le possibili azioni legali da intraprendere come singole, lese nei diritti e libertà fondamentali, e come comunità. La scelta di stringere alleanze con un’associazione come DD, impegnata sul territorio nazionale in azioni di prevenzione della violenza nei confronti delle donne e contro ogni forma di violenza sessista, compresa quella istituzionale[3], è indicativa della cornice nella quale il comitato PVN, sin dall’inizio della sua mobilitazione, ha inserito le proteste e la denuncia: la chiusura definitiva del punto nascita dell’isola, unico per tutte le isolane e quindi parte della genealogia di ciascuna abitante di Pantelleria, costituisce per tutte loro una violenza istituzionale sessista. Insieme alle mobilitazioni sul territorio, attraverso la stampa locale e sui social media, le iniziative assunte si sono articolate in un percorso di auto-formazione: le donne dell’isola si sono riunite a più riprese per indagare la distanza tra il piano formale dei diritti sessuali e riproduttivi – che l’ordinamento è tenuto a garantire – e quello materiale dei servizi pubblici, svuotati di personale, risorse e, soprattutto, dell’esperienza delle donne. Nelle vicende che in questo contributo si ricostruiscono, l’esperienza viene marginalizzata fino a essere espunta dalla valutazione costi-benefici. A nulla vale, infatti, il benessere che testimoniano le centinaia di donne che hanno partorito in sicurezza sull’isola negli anni, dal momento che nella definizione dei parametri per stabilire l’affidabilità del servizio la voce delle donne è silenziata.

Il comitato PVN ha, inoltre, avviato un confronto con gli enti locali, e in particolare con il Comune, per verificare la percorribilità di azioni in sede giudiziaria.

In questa fase di dialogo è emerso il forte limite di una pratica processuale solo “collaterale” alla mobilitazione delle donne, senza, cioè, il loro diretto e pieno coinvolgimento. Le azioni intraprese in sede amministrativa su iniziativa del Comune di Pantelleria nel 2019 non avevano prodotto un impatto concreto anche a causa della postura neutra che ha guidato il contenzioso avviato in sede amministrativa. Sin dall’esame della domanda di sospensione dell’efficacia degli atti impugnati, il TAR ha ritenuto la fondatezza delle «criticità per cui si è passati dalla decisione della deroga (con prescrizioni) rispetto alla chiusura del punto nascita nel 2015, al provvedimento impugnato nell’odierno giudizio: criticità afferenti “tutti gli ambiti, organizzativi, tecnologici e di sicurezza”»[4]. È passato ormai un anno e il comitato PVN continua a portare avanti con presidi itineranti sul territorio isolano, attraverso i canali dei media locali e nazionali (Giacalone 2013; Ramundo 2020), e via social media[5], la campagna di protesta e sensibilizzazione sul diritto alla salute sessuale e riproduttiva delle donne abitanti dell’isola di Pantelleria[6]. A livello nazionale, regionale e locale non si è registrata nessuna iniziativa concreta dei/delle rappresentanti politici, così come sul piano delle strategie legali, i percorsi possibili (in sede civile e in sede amministrativa) appaiono in concreto non rispondenti al desiderio di giustizia che risuona dalle proteste del comitato PVN.

Questo desiderio ancora inattuato, proprio nel confronto serrato delle donne del comitato PVN con chi scrive, ha rievocato le tesi fondanti il femminismo giuridico. Come scriveva un gruppo di pensatrici della differenza sessuale nel volume Non credere di avere dei diritti, se la giustizia può darsi al di là della legge e del diritto attraverso la formula del giudizio politico sulle ingiustizie, fare giustizia significa praticare, ognuna nel luogo in cui si trova, un’idea di mondo giusto basato prevalentemente sulla valorizzazione dell’esperienza e della trama di relazioni (Libreria delle donne di Milano 1987; Simone 2018). Nel caso del comitato PVN, il “praticare” ha preso forma anche attraverso gesti concreti come la consegna delle tessere elettorali reso possibile dall’esperienza condivisa e intessuta con altre realtà di attivismo siciliane.

Per riportare proprio l’esperienza e la trama delle relazioni delle donne al centro delle possibili strategie legali da dispiegare per “chiedere conto” dei danni provocati nella vita delle donne di Pantelleria e, al contempo, per stigmatizzare in quanto violenza istituzionale le iniziative di progressivo smantellamento e la chiusura del punto nascita, abbiamo avviato un dialogo, ancora in corso, con le donne del comitato PVN, tra noi autrici e le nostre discipline di riferimento (antropologia e diritto).

L’idea comune è di fare spazio ai vissuti delle singole, nella convinzione, derivante dal personale posizionamento femminista di ciascuna di noi, della crucialità della dimensione del “particolare”, che lungi dal volersi proporre come universalità più alta, «gode di essere tale e non aspira a trascendersi» (Cavarero 1997: 67).

Questo approccio apre, in concreto, a parere di chi scrive, all’opportunità di condurre una riflessione oggettiva (Haraway 1991), e cioè che restituisce valore epistemologico alle singole storie di vita evitando di perpetuare la riduzione delle donne a oggetto.

Si analizzano quindi, nel prosieguo, l’impatto dei processi di razionalizzazione e ristrutturazione dei servizi sulla salute sessuale riproduttiva delle donne, evidenziando le contraddizioni legate alla retorica della “sicurezza” nell’emergenza Covid-19.

Attraverso l’azione partecipante intesa nella sua dimensione pratica del lavoro delle avvocate, che hanno condotto una ricognizione delle fonti e degli obblighi internazionali e delle riforme legislative interne, e l’etnografia on-line condotta dall’antropologa da remoto, accettando i limiti di questo metodo e negoziando le personali ritrosie nell’uso della tecnologia digitale applicata alla ricerca sul campo da casa, ci siamo confrontate con l’esperienza collettiva e personale delle donne pantesche. Durante la fase di confinamento e poi di parziale deconfinamento, i nostri scambi e il lavoro di campo hanno dovuto adeguarsi alle condizioni di vita concrete dovute all’emergenza sanitaria, obbligandoci anche a riflettere sull’attivismo a distanza, sul tempo (Pizza, Ravenda 2016) e sui metodi di indagine possibili.

Il momento storico ci ha portato a un bivio: attendere la “fine” dell’emergenza sospendendo il lavoro oppure accettare il (forse) temporaneo forzato digital turn come occasione per sperimentare le metodologie già ampiamente utilizzate e dibattute in antropologia tra cui le interviste on-line, osservazione partecipante a eventi on-line e netnografie (Pink et al. 2015; Miller 2018; Kaufmann, Peil 2019; Góralska 2020). Nello specifico, oltre a partecipare a riunioni on-line (mediante la piattaforma Zoom), l’antropologa ha condotto interviste semi-strutturate video e audio via WhatsApp con le donne del comitato PVN e ha seguito le loro attività sulla pagina Facebook. Le questioni emerse da questi scambi sono molto ampie e, con questo articolo, vogliamo proporre una prima riflessione che ci auguriamo di espandere in futuro[7].

La salute sessuale e riproduttiva quale diritto fondamentale delle donne: la cornice degli obblighi internazionali

Il concetto di salute sessuale e riproduttiva è di origine recente, ma le sue radici in relazione alle idee di integrità corporea e autodeterminazione sessuale hanno una genealogia antica e culturalmente più ampia. L'idea che le donne dovrebbero essere libere di decidere se, quando e come vogliono avere figli è stata affermata e promossa sin dai primi movimenti femministi impegnati anche in estese campagne di controllo delle nascite (Gordon 1976; Chesler 1992; Huston 1992).

Il tema è stato ripreso e approfondito a valle di decenni di attivismo femminista nel contesto della conferenza internazionale sulla popolazione e lo sviluppo tenuta al Cairo, in Egitto, nel 1994 e nel suo programma di azione che ha spostato il focus delle politiche e dei programmi sulla popolazione dalle questioni meramente numeriche a quelle connesse al godimento dei diritti umani, riconoscendo che la salute riproduttiva e sessuale, così come l’uguaglianza di genere e il rafforzamento delle donne (empowerment), sono finalità imprescindibili da perseguire per realizzare il globale miglioramento della qualità della vita.

Nel corso della quarta conferenza mondiale sulle donne tenuta a Beijing, Cina, nel 1995, tali principi sono stati riaffermati e inclusi nel piano di azione e nel capitolo «Donne e salute», che richiamando la definizione promossa dall’OMS, intende la salute nel senso di «uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente l'assenza di malattia o di infermità», esplicitando però che la salute delle donne dipende strettamente dal «loro benessere emozionale, sociale e fisico ed è determinata tanto dal contesto sociale, politico ed economico della loro vita quanto dalla biologia» (ONU 1995), e include necessariamente la libera autodeterminazione delle donne in tutte le scelte che riguardano la vita sessuale e la riproduzione, comprese quelle inerenti la gravidanza e il parto, con un obbligo positivo per le autorità dei paesi di promuovere procedure che incoraggino consapevolezza e autonomia delle decisioni delle singole donne (IPPF 2003). Nel piano di azione si identifica nella «disuguaglianza tra uomini e donne e tra donne di differenti aree geografiche, classi sociali, gruppi indigeni ed etnici» (ONU 1995, §89) l’ostacolo più diffuso al raggiungimento del più alto livello di salute delle donne.

Quest’ottica promuove l’attento vaglio delle condizioni materiali delle donne che nei vari paesi e nel corso della loro vita hanno differenti e disuguali possibilità di accesso alle risorse sanitarie rispetto agli uomini, una disuguaglianza che compromette primariamente la salute sessuale e riproduttiva.

Come femministe siamo consapevoli delle tensioni e delle prospettive multiple sottese alla nozione di salute e, ancora di più, alla nozione di salute e diritti sessuali e riproduttivi, pertanto il richiamo alle definizioni sopra riportate non è da intendersi quale adesione incondizionata alla cornice data dal diritto internazionale, ma come punto di partenza, frutto di una faticosa negoziazione del femminismo attivo presso le organizzazioni internazionali. Tale dibattito ci permette di indagare il terreno dei diritti sessuali e riproduttivi in termini di potere e risorse. Qui il potere di prendere decisioni informate sulla propria fertilità, gravidanza, educazione dei figli, salute ginecologica e attività sessuale, si combina con le risorse per portare avanti tali decisioni in modo sicuro. Questo terreno coinvolge necessariamente le nozioni essenziali di "integrità corporea" o "controllo sul proprio corpo", che rimandano a una declinazione “individualista” del diritto alla salute sessuale e riproduttiva. Tuttavia, sono in questione anche le relazioni di ciascuna donna con i potenziali nascituri, i partner, la comunità e la società nel suo insieme, relazioni che incoraggiano una verifica delle condizioni materiali che minano il diritto alla salute sessuale e riproduttiva e che richiedono una politica orientata al benessere delle donne inteso quale componente del benessere sociale, così ridefinendo il concetto di diritti sessuali e riproduttivi nell’alveo dei diritti sociali.

Il contenuto del diritto alla salute sessuale e riproduttiva è oggetto di approfondimento in questi termini all’articolo 12 della Convenzione per l’eliminazione di ogni discriminazione nei confronti delle donne (nel prosieguo CEDAW), il quale include anche «il diritto di accesso ad appropriati servizi di assistenza sanitaria che permettano alle donne di affrontare in modo sicuro la gravidanza e la maternità» (Freeman, Chinkin, Rudolf 2012) e stabilisce per gli Stati l’obbligo di articolare anche azioni positive che, in deroga al principio di parità tra uomini e donne, assicurino alle donne l’accesso

ai servizi appropriati in relazione alla gravidanza, al parto ed al periodo post-partum, accordando servizi gratuiti ove necessario, nonché un’alimentazione adeguata durante la gravidanza e l’allattamento (Comitato CEDAW 1999, articolo 12).

Sulla base del piano di azione elaborato al Cairo nel 1994 e nel solco del piano di azione di Pechino del 1995, il Comitato di monitoraggio dell’attuazione della CEDAW approvata dall’ONU nel 1999, ha emanato una raccomandazione generale volta a precisare ulteriormente gli obblighi derivanti dall’articolo 12, precisando che gli Stati devono

adottare appropriate misure legislative, giudiziarie, amministrative, di bilancio, economiche e di altro tipo nella massima misura consentita dalle loro risorse disponibili per assicurare che le donne vedano soddisfatto il loro diritto all’assistenza sanitaria (Comitato CEDAW 1999).

È necessario, quindi, che gli Stati assicurino in concreto che le donne abbiano accesso tempestivo all’assistenza sanitaria di qualità su base paritaria rispetto agli uomini e intervengano a eliminare gli ostacoli che le donne incontrano, garantendo sempre il rispetto del diritto all’informazione e alla riservatezza, il rispetto dei bisogni e delle prospettive individuali.

Il Comitato CEDAW, nel contesto della medesima raccomandazione generale, approfondisce, inoltre, le misure che gli Stati devono adottare per garantire alle donne servizi appropriati in relazione alla gravidanza, al parto e al periodo post-partum e richiede ai governi di illustrare puntualmente nei rapporti periodici in che modo gli Stati forniscono i servizi per adempiere

l’obbligo positivo di stanziare il massimo delle risorse di bilancio, umane e amministrative così da garantire che sia destinata alla salute delle donne una parte del bilancio totale per la sanitàà paragonabile a quella destinata alla salute degli uomini, tenendo presenti i diversi bisogni in materia di salute (Comitato CEDAW 1999, §27-28).

Le politiche governative perseguite in Italia negli ultimi venti anni in tema di servizio sanitario nazionale contravvengono nel loro insieme agli obblighi derivanti dagli atti internazionali in tema di salute sessuale e riproduttiva delle donne. Il Comitato CEDAW nelle conclusioni sullo stato di attuazione della Convenzione in Italia ha segnalato, in particolare, sin dal 2017, che la diminuzione dei fondi destinati al servizio sanitario e il processo di privatizzazione del settore ha compromesso l’accesso delle donne ai livelli assistenziali minimi, rendendo urgente l’incremento delle risorse da allocare nel settore sanitario al fine di garantire l’effettivo godimento del diritto alla salute, inclusa la salute sessuale e riproduttiva per tutte le donne e le ragazze (Comitato CEDAW, 2017, §§41 ss).

La vicenda di Pantelleria si inserisce nel solco di tale processo ed è rappresentativa delle ragioni poste alla base delle conclusioni del Comitato CEDAW. Nel caso di studio si riscontra una discriminazione di genere nei confronti delle donne che subiscono in modo sproporzionato rispetto agli uomini l’impatto concreto delle politiche perseguite per via legislativa e attuate per via amministrativa, in quanto le donne risultano ostacolate più degli uomini nella fruizione di servizi e prestazioni sanitarie volte a garantire la loro salute, e con una peculiare sistematicità, esse si vedono limitare il godimento del diritto alla salute sessuale e riproduttiva (Comitato CEDAW 2007, §24).

Il punto nascita di Pantelleria: un esempio di razionalizzazione dei costi a scapito della salute riproduttiva delle donne

Nel caso di studio le violazioni degli obblighi internazionali in materia di salute sessuale e riproduttiva delle donne sopra delineate emergono in modo nitido dalle storie che sono state raccolte e che potrebbero costituire la base per strutturare sia azioni individuali in sede giudiziaria di risarcimento del danno sia per definire azioni di advocacy per negoziare a livello politico nuovi parametri di riferimento per la struttura dei servizi dedicati.

Per individuare lo spazio per una pratica processuale che possa rispondere al desiderio di giustizia delle donne pantesche, occorre però fare il punto delle ragioni sottese alle leggi interne invocate a giustificazione della chiusura del punto nascita.

Questo servizio si è diffuso sul territorio tra gli anni Sessanta e Settanta a seguito di un processo di progressivo abbandono della nascita in casa con la preferenza di strutture sanitarie complesse dotate di sale travaglio, sale parto e isole neonatali, parallelo all’affermarsi (una visione del parto quale evento a rischio per la salute della donna) del discorso medico che legittima la cultura della paura fondata sul rischio/prevenzione per promuovere da una parte il controllo sul corpo della donna e dall’altra le responsabilità dell’individuo-paziente (Douglas 1992; Bonfanti 2012).

In questo contesto, la standardizzazione dei criteri di sicurezza ha fatto spazio anche a molteplici protocolli che orientano le prestazioni mediche e il ricorso a interventi medici eccezionali in misure di routine.

I punti nascita presentano sul territorio nazionale caratteristiche molto diversificate e livelli di assistenza diversificati, anche geograficamente, così da richiedere una riorganizzazione finalizzata, come dichiarato già dall’Accordo approvato in Conferenza unificata il 16 dicembre 2010[8], alla garanzia di standard omogenei e procedure uniformi sul territorio nazionale. È in questo contesto che ha trovato spazio una prospettiva di razionalizzazione ove la voce dei costi dei servizi e l’esigenza di ridurre la spesa pubblica ha iniziato ad affermarsi tra i criteri di valutazione da affiancare a quelli di sicurezza, ponendo l’accento sulla qualità dell’assistenza, tra cui la riduzione dei cesarei e la promozione di un parto indolore. Si è affermato in questo contesto tra i parametri per misurare la qualità del servizio anche quello dimensionale, poi divenuto preponderante nella valutazione della sicurezza e dell’adeguatezza dei punti nascita a partire dall’Accordo del 2010, poi ribadito dal cosiddetto decreto Balduzzi, 13 settembre 2012, n. 158, recante Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute.

Suddetti provvedimenti sanciscono in almeno 1000 le nascite all’anno lo standard di riferimento per il mantenimento in funzione del punto nascita. Le eccezioni possono essere motivate da valutazioni legate a specifiche condizioni geografiche e tuttavia mai, comunque, per punti nascita al di sotto dei 500 parti all’anno.

L’intrinseco legame tra la necessità di garantire sicurezza ed economicità è percepibile anche nella copiosa giurisprudenza amministrativa prodottasi nell’ambito del contenzioso nato su tutto il territorio nazionale con la progressiva implementazione del progetto di razionalizzazione dei servizi[9]. Nelle decisioni, invero, seppur il Giudice amministrativo pone generalmente l’accento sul fatto che il requisito dimensionale rappresenta

non certo un mero parametro di economicità dell’azione amministrativa, ma uno standard operativo di sicurezza alla stregua di concordi e consolidate indicazioni scientifiche in materia, in particolare anche dell’OMS (che a tal riguardo stabilisce il più rigido rapporto di 650 parti/anno), secondo cui un parametro numerico inferiore non consente di conseguire il dimensionamento minimo previsto sia dal punto di vista dell'efficienza dell'investimento, sia soprattutto dal punto di vista della salvaguardia della salute delle partorienti e dei nascituri, essendo provato che più alto è il numero dei parti/anno, maggiori sono la manualità e l’esperienza degli operatori e minore il tasso di complicanze e di mortalità (Consiglio di Stato, sentenza 12 settembre 2019, n. 6335).

Nel confermare poi le scelte di chiusura e di accorpamento effettuate di volta in volta sul piano regionale, il Giudice richiama la necessità del perseguimento dell’equilibrio economico e finanziario con la salute e la sicurezza della partoriente e del nascituro.

Dietro alla tutela della sicurezza si cela quindi sempre la considerazione che l’introduzione di regimi di eccezione non permetterebbero il contemporaneo perseguimento di criteri di economicità e buon funzionamento, questo ultimo garantito e sostenibile solo quando non sia troppo dispendioso. Orbene, è evidente come, seppur nel rispetto delle esigenze di gestione razionale della spesa pubblica, sia doveroso che l’amministrazione non cessi di considerare e dare spazio alla necessità di ricontrattare continuamente gli equilibri, come richiesto dagli obblighi internazionali in materia, ignorati dall’autorità giudiziaria interna, che rinvia all’OMS per confermare la validità degli standard dimensionali, ma ignora le declinazioni degli stessi parametri in un’ottica di genere come imposto dalla CEDAW, diversificandoli e considerando la peculiarità di certe condizioni. Occorre che sia garantito che mai si arrivi a situazioni in cui vengano totalmente compromesse la salute sessuale e riproduttiva e il benessere della donna nell’esperienza della gravidanza come in effetti è accaduto nel caso delle donne di Pantelleria.

E invero è in questo contesto normativo e teorico che si inserisce la complessa vicenda della gestione sanitaria del punto nascita di Pantelleria, caratterizzata da continue sospensioni e riattivazioni con temporanee riaperture in deroga, che a partire dal 2012 non ha più permesso di garantire alcuna continuità e certezza, trasformando profondamente gli approcci alla nascita delle donne dell’isola e del personale sanitario con un sempre più forte scollamento tra essi laddove, al contrario, dovrebbero reciprocamente determinarsi e autointegrarsi.

La nascita è divenuta così il momento simbolico di mediazione e rivendicazione con l’amministrazione statale, regionale e locale in una dimensione la cui reale portata non può essere compresa se non si delineano con precisione le caratteristiche anche geografiche di Pantelleria. Come evidenziato nell’ambito della interrogazione parlamentare del 2 dicembre 2013[10], l'isola presenta una collocazione estremamente particolare: essa è più vicina alle coste tunisine da cui è separata da 70 chilometri di mare, che a quelle sicule che distano circa 110 chilometri. A queste ultime l’isola è collegata da un traghetto che impiega tra le sei e le sette ore per raggiungere Trapani e tuttavia tale collegamento è strettamente connesso con le condizioni meteorologiche che, se avverse, minano la possibilità stessa di garantire il servizio con evidenti conseguenze sulla possibilità di accedere ai servizi sanitari integrativi della Azienda Sanitaria della Provincia di Trapani e in particolare all’ospedale Sant'Antonio Abate a cui, insieme a quello di Marsala, il Punto nascita di Pantelleria fa espresso riferimento quale struttura sanitaria di secondo livello dove avvengono i trasferimenti in caso di complicazioni.

L’unica altra via per raggiungere l'ospedale è quella aerea, che però dipende dalle condizioni atmosferiche: spesso accade che a causa del forte vento sulla pista dell'aeroporto di Pantelleria gli aeromobili non possono atterrare e, di conseguenza, l’aereo non arriva sull'isola. Inoltre, a causa delle misure di spending review anche il servizio dell'elisoccorso ha subito delle forti limitazioni e viene effettuato con orari ridotti per un massimo di 12 ore (dall'alba al tramonto).

Di conseguenza, alle donne dell’isola che devono partorire in assenza del punto nascita o con un servizio che, in un’ottica di riduzione dei costi, non garantisce un livello di servizi adeguato, non rimane altra scelta che allontanarsi dagli affetti e dalla propria dimora isolana per trasferirsi altrove, lontano da casa, con inevitabili conseguenze emotive, organizzative ed economiche, con un impatto significativo sull’esperienza stessa della nascita per la donna e per il nascituro.

Il continuo alternarsi di sospensioni a riattivazioni attraverso regimi in deroga ha compromesso nel tempo la continuità assistenziale e acutizzato processi disfunzionali nella gestione della gravidanza. Infatti, laddove il Punto nascita di Pantelleria è a tutti gli effetti un servizio di primo livello per la gestione delle gravidanze e dei parti fisiologici, si è assistito a una progressiva tendenza all’incremento della classificazione dei parti tra quelli a basso rischio per i quali si rende necessaria una presa in carico nelle strutture ospedaliere, con un eccesso di responsabilizzazione delle scelte materne a scapito di un percorso condiviso e costruito insieme alla struttura sanitaria nel rispetto della sicurezza, ma anche del benessere della donna. È stato adottato, infatti, un protocollo[11] che, nello schema proprio dell’approccio difensivo della pratica medica contemporanea (Tancredi, Barondess 1978; Baldwin et al. 1995; Mariotti et al. 2011; de Maria 2013), impone la raccolta dell’assenso scritto della gestante e del partner alla presa in carico con la dichiarazione di essere stati informati dei «rischi che possono scaturire nel scegliere di partorire sull’isola di Pantelleria, ossia eventuali e non preventivabili complicazioni che si possono appalesare a seguito di un parto, anche se ritenuto a basso rischio»[12]. Le coppie inoltre devono sottoscrivere anche una dichiarazione che esonera la struttura di ogni responsabilità in caso di rifiuto al trasferimento per il parto presso le strutture sanitarie siciliane.

Tali prassi hanno portato a una progressiva quanto disfunzionale responsabilizzazione — che sottende una colpevolizzazione della donna in relazione ai possibili rischi presenti nelle decisioni che la riguardano (Bonfanti 2012) — della decisione materna di partorire sull’isola che, nel tempo, è divenuta strumento di contrapposizione e rivendicazione in una dinamica di mediazione con l’amministrazione sanitaria.

Tale evoluzione mostra in tutta la sua contraddittorietà l’ossimoro di politiche sanitarie che hanno tagliato e razionalizzato i costi per “ottimizzare” le cure, negato strumenti essenziali perché non sostenibili economicamente, per produrre contemporaneamente una costosissima sovraesposizione a trattamenti medici non sempre necessari.

La complessa vicenda si è apparentemente e paradossalmente conclusa a scapito delle donne pantesche nel momento delicato e complesso dell’emergenza epidemiologica Covid-19.

Il vissuto delle donne dell’isola: partorire da sole e protesta collettiva

A marzo 2020 l’isola di Pantelleria era considerata un porto sicuro, a contagi zero, un luogo da cui i suoi abitanti guardavano alla Sicilia e all’Italia come un vasto territorio in cui circolava il virus Covid-19. Per Chiara, Sara, Luisa, Annalucia[13], e le altre donne del comitato insieme ai loro familiari, l’impossibilità di rimanere sull’isola per partorire e stare vicino ai loro cari, rappresenta una contraddizione e un’ingiustizia. In un momento in cui il tema della morte e la fabbrica di paura e incertezza dominava il discorso pubblico, invaso dall’immagine di un corpo potenzialmente infetto o portatore sano di Covid-19 che non deve “muoversi” [14], il corpo delle donne rimane l’eccezione e, in quanto tale, destinatario di regolamentazione speciale proprio in ragione della sua funzione procreativa (Pitch 1998; Pizzini 1999; Lombardi, Pizzini 2004; Marchetti, Polcri, 2013; Mattalucci 2017; Giuffrè 2018).

In linea con altre riflessioni (Grotti, Quagliariello 2020a, 2020b; Quagliariello 2020), dall’esperienza delle donne pantesche emerge una gestione dell’emergenza sanitaria discriminatoria sulla base del genere: da marzo 2020 nascere a Pantelleria in casa o all’ospedale non è più parte dell’immaginario delle donne pantesche, perché i confini dell’isola e della sua riproduzione sono dislocati sulla “terraferma”. In questo scenario, le donne pantesche rivendicano il diritto per loro stesse e le loro figlie e figli a nascere sull’isola, a casa o vicino alle loro famiglie, ritenendo tale diritto nell’orizzonte della salute sessuale e riproduttiva[15]. L’impossibilità di scegliere il luogo della cura e dell’assistenza medica, da una parte infatti, pone l’enfasi sui diritti fondamentali e sugli obblighi violati dal nostro ordinamento, come più sopra tracciato, dall’altra parte ci permette anche di allargare lo sguardo sulle relazioni di potere che si dipanano durante la gravidanza e con la gestione della nascita, richiamando l’attenzione sulla dimensione politica, collettiva e pubblica della riproduzione.

Come si evince dalle fotografie presenti sulla pagina Facebook del comitato PVN e dalle interviste, una delle forme di protesta portate avanti dalle donne con bambini appena nati o ancora in gravidanza ha assunto la forma di un presidio permanente davanti all’ospedale, durante il quale le donne chiedevano di esercitare i propri diritti e di accedere alle risorse sul territorio, rifiutando di essere marginalizzate o di subire un temporaneo sradicamento per fini medico-sanitari.

Le donne pantesche coinvolte nella protesta si sono spesso interrogate sul proprio vissuto personale e sulle forme della violenza istituzionale, ricordando le precedenti gravidanze e parti avvenuti a Pantelleria, scambiandosi informazioni pratiche e supportandosi attraverso il confronto con donne che, ben prima di loro, avevano intrapreso forme di protesta contro la chiusura del punto nascita. I loro racconti e le loro iniziative articolano il desiderio comune di riaccreditare non solo giuridicamente, ma anche politicamente, sul territorio dell’isola la possibilità di vivere in sicurezza la propria gravidanza e il parto, come dimensioni concrete del loro sentirsi radicate sul territorio.

È una causa importante, le donne-mamme non dovrebbero arrivare nemmeno al punto di fare fiaccolate, di stare giorni interi con bambini di tre quattro mesi fuori per far svegliare un po' la politica ma dovrebbe essere la politica ad occuparsi [di loro] un po’ di più perché c’è un po' di menefreghismo[16].

Chiara si riferisce alla fiaccolata avvenuta in forma statica, con mascherine e secondo le regole del distanziamento il 6 novembre 2020 davanti all’ospedale, dopo mesi scanditi dalla presenza delle donne al presidio e di un pulmino itinerante, impiegato per sensibilizzare i cittadini sul diritto alla salute. Questa protesta pacifica è stata organizzata in contemporanea con le altre realtà siciliane (Lipari e Castelvetrano) e il Coordinamento dei Comitati per la Salute - Sicilia. Rivendicando il diritto a una piena cittadinanza che possa includere anche la “cittadinanza sanitaria” (Schirripa 2014; Briggs e Mantini-Briggs 2003) concessa solamente ai soggetti che adottano comportamenti sociali, culturali e si adeguano a percorsi terapeutici promossi dallo Stato, le donne del comitato PVN hanno aderito alla raccolta delle tessere elettorali per protestare contro l’esclusione e marginalizzazione dei cittadini nelle scelte riguardanti l’utilizzo delle risorse pubbliche. Le tessere elettorali sono state consegnate alle donne le quali le hanno prese in custodia (e verranno riconsegnate su richiesta del titolare).

Perché consegnare la tessera elettorale? La scheda è un mezzo per esercitare il diritto al voto ed è l’unico strumento che noi cittadini onesti abbiamo per esprimerci nei confronti delle scelte politiche che non condividiamo. Significa semplicemente dire BASTA, siamo stanchi di vedere calpestati i nostri DIRITTI e quindi ricordiamo alla politica il DOVERE che le è proprio: operare per il bene comune (post del 21 ottobre 2020 sull’azione condivisa dal Coordinamento dei Comitati per il Diritto alla Salute, PVN Facebook).

Le donne del comitato raccontano che l’azione inizialmente non è stata semplice, data la difficoltà a trovare un punto strategico per la raccolta delle tessere. Non possedendo una sede, esse hanno provato ad avvicinare i genitori fuori dalle scuole ma, come raccontano sorridendo, quei luoghi non andavano bene «essendo le mamme sempre di corsa!»[17].

Con l’arrivo di un “alleato inaspettato” – secondo le parole di Annalucia – rappresentato dal Vescovo e dal suo vicario, la loro campagna è diventata molto presente e visibile sul territorio, grazie anche al contributo delle chiese e delle parrocchie, trasformatesi in punti di raccolta delle tessere elettorali[18]. Anche se ogni comune/isola formula richieste specifiche sui propri disservizi, tuttavia le comunità siciliane hanno trovato un punto di contatto nel condividere l’obiettivo comune di «rivendicare per tutti i cittadini il diritto alla salute sancito dalla nostra Costituzione» (Facebook, post 18 ottobre 2020). Sebbene i discorsi delle donne del comitato e i post su Facebook facciano spesso riferimento ai diritti di cittadinanza, è nell’atto dell’allontanamento dall’isola e per esteso dalle famiglie che il senso di ingiustizia si articola. Partire, rimanere in attesa, partorire da sole all’ospedale per poi ritornare e, infine, aspettare la fine della quarantena si configura come l’iter spaziale e temporale affrontato dalle donne nel percorso nascita. Normalmente, le donne che hanno raggiunto la trentasettesima settimana si trasferiscono a Trapani in attesa di accedere alle strutture dell’Azienda Sanitaria Provinciale (da cui dipendono, come illustrato più sopra, i servizi sanitari panteschi).

Le aspettative personali e la realtà vissute sono spesso articolate con rassegnazione:

Un mese prima del parto mi hanno trasferita con urgenza in elisoccorso e poi sono rimasta 40 giorni fuori. Sono stata da sola in ospedale e dopo 24 ore mi hanno dimessa. Ho partorito un mese dopo e sono stata fuori fino all’11 agosto. Ho finito il tempo il primo agosto ma nella mia testa ero in ritardissimo perché essendo partita così presto io mi aspettavo questo parto da un momento all’altro e invece ho finito il tempo e poi ho partorito oltre termine ed è stato psicologicamente devastante, sono arrivata al parto cotta, non ce la facevo più a stare chiusa lì in un appartamento con la bambina (…) caldissimo, mio marito aveva lasciato il lavoro per un mese (…) con sacrifici economici e mentali. Io sono arrivata al parto esausta ancora prima di partorire. Mi svegliavo ogni mattina e andavo in bestia perché non avevo i dolori. Aspettavo e pregavo che mi partissero i dolori. Nella mia testa essendo là da quaranta giorni per me ero oltre, per me questa gravidanza è durata 12 mesi perché questi giorni a Trapani sono stati infiniti[19].

Pur collocandosi nel dibattito socio-antropologico sulle emozioni con particolare riferimento alle paure delle donne come disincentivo nel ricorrere ai servizi sanitari (Della Puppa, Sanò, Pasian 2020), il caso di Pantelleria riporta la riflessione all’interno delle istituzioni e svela le percezioni legate al desiderio di un parto medicalizzato con le strutture sanitarie. Giulia durante l’intervista ricorda la sua preoccupazione e la difficoltà vissuta nell’ultimo mese prima del parto. Il confinamento in una città come Trapani, percepita come un “altrove”, e le limitazioni dovute alla pandemia hanno riconfigurato i tempi della sua attesa e della gravidanza, tanto da modificare il rapporto con il corpo (Giulia era alla seconda gravidanza) e alterare la percezione della durata della gestazione (che le è sembrata lunga dodici mesi).

Anche Luisa riflettendo sulle circostanze eccezionali rievoca le paure, il senso di confinamento e sradicamento:

L’ultimo mese è stato difficile con tutte le restrizioni. Alla fine l’ultimo mese è quello più pesante, non poter uscire, bisogna partire un mese prima e stare dentro casa e non poter vedere nessuno a Trapani… andare a fare i controlli per arrivare in ospedale, le certificazioni, perché stai andando là… [mio marito diceva] “Speriamo che quando avrai le contrazioni non ci fermano perché se no come facciamo?”. Erano tutti dei pensieri che giustamente ti vengono in quel momento perché non sai …lo dimenticherò a casa [il certificato giusto]? Tutte cose un po’ strane che purtroppo erano da affrontare[20].

In molti casi le donne fanno riferimento alla forte preoccupazione di avere la «certificazione» (autocertificazione) giusta o di non dimenticarsela. L’autocertificazione oltre a disciplinare la presenza del corpo della donna (in movimento) durante il lockdown, portato in tasca o in borsa, ospita in sé la protezione dall’essere sanzionati e allo stesso tempo scongiura la possibilità di non raggiungere l’ospedale:

In piena emergenza Corona Virus, rischiando il contagio per sé e per le proprie famiglie, le mamme pantesche sono costrette ad affrontare lunghi viaggi per poter dare alla luce i loro figli. Figli che non apparterranno alla stessa Terra. Nessuna tutela nessun responsabile (Facebook, Pantelleria Vuole Nascere, post del 21 marzo 2020).

La portavoce del comitato PVN è stata l’ultima donna a partorire sull’isola forte della sua volontà di far nascere suo figlio a Pantelleria. Annalucia, per scelta personale, ha preferito scegliere il parto in casa (Quattrocchi 2018) e sottoporsi solo ai controlli prenatali previsti in caso di gravidanza “a basso rischio”. Come confermato da tutte le intervistate, anche quando il punto nascita di Pantelleria era funzionante, a nessuna donna è stata data la possibilità di discutere del piano del parto. L’assenza di dialogo paziente-dottore riguardo alle opzioni del parto rientra nel dibattito sulle violenze ostetriche (Ravaldi et al. 2018) rafforzatesi durante la pandemia (Quattrocchi 2019). Annalucia è l’unica donna ad aver optato per un parto in casa rivolgendosi a una doula, una figura professionale non sanitaria che accompagna la donna (e la famiglia) durante tutto il percorso maternità e parto offrendo supporto anche pratico ed emotivo (Pasian 2015; Benaglia 2020). Annalucia ci racconta del suo confronto con il ginecologo e il personale sanitario prima e dopo il parto, di come la sua scelta è stata interpretata come una sfida e un’insubordinazione. La portavoce di PVN, consapevole della sua forma di resistenza al modello medicalizzato del parto ha sottolineato «mi hanno voluta punire e hanno mandato via mio figlio in elisoccorso»[21]. Il parto in casa e la conseguente ospedalizzazione, dovuta alla necessità di intervento medico, ha spostato l’attenzione sulla irresponsabilità della madre verso il nascituro. La responsabilizzazione individuale all’interno del sistema sanitario soprattutto in relazione alle limitazioni e pratiche imposte dall’emergenza Covid-19 mostra i confini sempre più rigidi nei percorsi di salute, anche non riproduttiva, come largamente discusso in riferimento alla popolazione migrante (Marabello, Parisi 2018; Della Puppa, Sanò, Pasian 2020). Nel caso di Annalucia, dopo aver partorito il bambino in assenza del partner, è stata separata del neonato e padre/partner trasferiti via elisoccorso a Trapani per effettuare dei controlli medici. Annalucia racconta di essere stata lasciata sull’isola (la famiglia di Annalucia non risiede sull’isola) con la minaccia di poter attivare i servizi sociali se si fosse opposta al trasferimento del bambino a Trapani. Il desiderio di vivere il parto e il post parto in una dimensione comunitaria e familiare, condividendo il travaglio anche con alcuni amici e alla doula, non era stato possibile realizzarlo nell’ospedale. Prima dell’arrivo dell’emergenza Covid-19, Annalucia aveva provato a negoziare uno spazio all’interno della struttura ospedaliera dove poter partorire in sicurezza. Tuttavia, il modello del parto tecno-centrato (Davis-Floyd 1994, 1992), fortemente condiviso dal personale medico, ha prevalso interpretando la volontà di Annalucia come una resistenza alla medicalizzazione della sua gravidanza. In questo caso, il soggetto femminile e il suo desiderio, vengono silenziati in nome della salute del feto e ancora una volta vengono evidenziate le responsabilità della madre verso il nuovo nascituro e la sua salute. Nonostante l’esperienza difficile vissuta durante la gravidanza e il parto, Annalucia crede fortemente nell’importanza della presenza dell’istituzione ospedaliera nella sua accezione di bene comune e nella messa in sicurezza di uno spazio per tutte le donne/cittadine e pazienti dell’isola. Una forma diversa di violenza è stata invece raccontata da Luisa, una mamma al secondo parto:

Durante il travaglio ero con una ostetrica “tu non sai spingere” [aggiunge] “magari mi è capitata un’ostetrica non troppo simpatica” ma l’accompagnamento al parto non è stato umano (…) ho condiviso la mia ostetrica con altre due partorienti e sono rimasta in sala parto da sola con “la ragazza del nido (…) nel momento in cui sentivo che durante la spinta sarebbe nato ho detto a quella ragazza che non essendo il suo mestiere non poteva fare nulla (…) le ho detto vai a chiamare l’ostetrica perché il bambino sta uscendo perché io ero sola e se avessi spinto il bambino sarebbe caduto a terra perché non c’era nessuno[22].

In tempo di epidemia da Covid-19 il personale sanitario passava da una stanza all’altra, scherzandoci su Luisa aggiunge «che poi in quei momenti lì non sai nemmeno se cambiano i guanti! In quel momento nemmeno non ci pensavo»[23]. Luisa aveva partorito al punto nascita di Pantelleria e il ricordo di quel primo parto la porta a riflettere sulla penuria di personale e in particolare sull’ironia di quella situazione: il punto nascita di Pantelleria non rimane aperto anche per mancanza di personale. Le diverse esperienze delle donne del comitato, tutte diverse e ognuna con le sue sfumature, si uniscono nella richiesta di garantire alle donne (e i loro/le loro partner) un parto sicuro sull’isola.

Conclusioni

Attraverso lo studio di caso proposto in questo contributo è emerso l’intreccio tra produzione del diritto e pratiche di compressione delle libere scelte delle donne legittimate dal diritto stesso e, grazie al lavoro dell’antropologa, è stato possibile definire in modo tangibile il quadro dei beni giuridici lesi da iniziative di riorganizzazione imposte da leggi orientate da criteri di efficienza e contenimento delle voci di spesa, ma anche la portata politica del desiderio che anima la mobilitazione delle donne pantesche per ottenere la riapertura del punto nascita sull’isola.

Partendo dalla richiesta del comitato PVN, il lavoro congiunto delle giuriste e dell’antropologa ha consentito di tracciare una mappa degli interessi in gioco, che non si esauriscono nella rivendicazione individuale dell’accesso a un servizio, ma offrono la misura della dimensione sociale del concetto di salute sessuale e riproduttiva delle donne. Nel caso di studio, infatti, le donne non solo rivendicano l’esercizio di diritti fondamentali e libertà personali (un'area in cui i governi non dovrebbero interferire), ma anche un'efficace azione pubblica con una particolare enfasi sulla relazione tra benessere personale e pubblico. A partire da questa prima disamina abbiamo delineato possibili percorsi di azione in sede giudiziaria volti a censurare l’operato delle autorità pubbliche (dal legislatore alle articolazioni amministrative locali), nei quali si aspira a tenere insieme la tutela dei diritti fondamentali con la dimensione sociale delle rivendicazioni delle singole donne.

Il diritto amministrativo e la disciplina del risarcimento del danno appaiono dimensioni nelle quali sperimentare uno spazio trasformativo per promuovere, partendo dal caso concreto, un cambiamento strutturale dell’impianto normativo e della gestione amministrativa in tema di tutela del diritto alla salute sessuale e riproduttiva delle donne, così come del discorso pubblico sul tema.

Bibliografia

Baldwin, L.M., Hart, L.G., Lloyd, M., Fordyce, M., Rosenblatt, R.A. 1995. Defensive medicine and obstetrics. JAMA, 274: 1606-1610.

Benaglia, B. 2020. La cura invisibile: potenzialità e limiti della pratica della doula. Antropologia e Teatro. Rivista Di Studi, 11 (12): 59-83.

Bonfanti, S. 2012. Farsi madri. L'accompagnamento alla nascita in una prospettiva interculturale. Quaderni di Donne & Ricerca, 27/2012. Torino. CIRSDe (Centro Interdisciplinare Ricerche e Studi delle Donne).

Briggs, C., Mantini-Briggs, C. 2003. Stories in the time of cholera. Racial profiling during a medical nightmare. Berkeley. University of California Press.

Cavarero, A. 1997. Tu che mi guardi, tu che mi racconti. Milano. Feltrinelli.

Chesler, E. 1992. Woman of Valor: Margaret Sanger and the Birth Control Movement in America. New York. Shimon & Schuster.

Comitato CEDAW. 1999. Raccomandazione generale n. 24. Ginevra. Nazioni Unite. www.un.org/womenwatch/daw/cedaw/recommendations/recomm.htm#recom24 (Consultato in data 30/05/2021).

Comitato CEDAW. 2007. Concluding Observations Poland, CEDAW/C/POL/CO/6. Ginevra. Nazioni Unite. https://undocs.org/CEDAW/C/POL/CO/6 (Consultato in data 30/05/2021).

Comitato CEDAW 2017. Concluding observations on the seventh periodic report of Italy, CEDAW/C/ITA/CO/7. Ginevra. Nazioni Unite. https://undocs.org/en/CEDAW/C/ITA/CO/7 (Consultato in data 30/05/2021).

Davis-Floyd, R.E. 1992. Birth as an American Rite of Passage. Berkeley. University of California Press.

Davis-Floyd, R.E. 1994. Culture and Birth: The Technocratic Imperative. International Journal of Childbirth Education, 9 (2): 6-7.

De Maria, R. 2013. Sostenibilità e riforma del Sistema Sanitario Nazionale, tra esigenze etiche e scarsità di risorse. Rivista Trimestrale di Scienza dell’Amministrazione, 4: 5-47.

Della Puppa, F., Sanò, G., Pasian, P. 2020. Quando la paura guida le scelte. Donne immigrate e salute riproduttiva, in Vianello, A.F., Redini, V. (a cura di) La salute delle e dei migranti. Mondi Migranti, 3: 71-97.

Douglas, M.1992. Risk and Blame. Essays in Cultural Theory. London. Routledge.

Facebook, Pantelleria Vuole Nascere, https://www.facebook.com/pantelleriavuolenascere/ (Consultato in data 30/05/2021).

Freeman, M.A., Chinkin, C., Rudolf, B. 2012. The UN Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination Against Women (Oxford Commentaries on International Law). OUP Oxford Press. Edizione del Kindle.

Giacalone, R. 2013. Pantelleria ancora chiuse sale parto. “Migliaia di euro spesi per le nascite”. Il Fatto Quotidiano, https://www.ilfattoquotidiano.it/2013/07/03/pantelleria-ancora-chiuse-sale-parto-migliaia-euro-spesi-nascit/644069/ (Consultato in data 03/03/2021)

Giuffrè, M. (a cura di). 2018. Essere madri oggi. Tra biologia e cultura. Etnografie della maternità nell'Italia contemporanea. Pisa. Pacini Editore.

Góralska, M. 2020. Anthropology from Home. Anthropology in Action, 27 (1): 46-52.

Gordon, L. 1976. Woman’s Body, Woman's Rights: A Social History of Birth Control in America. New York. Penguin.

Grotti, V., Quagliariello, C. 2020a. Partorire da sole. InGenere, http://www.ingenere.it/articoli/partorire-da-sole (Consultato in data 30/05/2021).

Grotti, V., Quagliariello, C. 2020b. Birthing Alone: Pregnancy and Maternity Care in the Shadow of Covid-19 in Italy. Medical Anthropology Quarterly Rapid Response Blog Series. https://medanthroquarterly.org/rapid-response/2020/06/birthing-alone-pregnancy-and-maternity-care-in-the-shadow-of/. (Consultato in data 30/05/2021).

Haraway, D. 1991. Simians, Cyborgs and Women: The Reinvention of Nature. New York. Routledge.

Huston, P. 1992. Motherhood by Choice: Pioneers in Women’s Health & Family Planning. New York. Feminist Press.

IPPF. 2003. Charter Guidelines on Sexual and Reproductive Rights. London. IPPF Regent’s College.

Kaufmann, K., Peil, C. 2019. The mobile instant messaging interview (MIMI): Using WhatsApp to enhance self-reporting and explore media usage in situ. Mobile Media & Communication, 8 (2): 229-246.

Libreria delle donne di Milano. 1987. Non credere di avere dei diritti. La generazione della libertà femminile nell'idea e nelle vicende di un gruppo di donne. Torino. Rosenberg & Sellier.

Lombardi, L., Pizzini, F. 2004. Corpo, genere e riproduzione umana. Salute e Società, 3 (3): 157-169.

Marchetti, M., Polcri, C. 2013. Gravidanza, parto, puerperio in un contesto d’immigrazione: un approccio antropologico per la calibrazione culturale dei servizi socio-sanitari. AM. Rivista Della Società Italiana Di Antropologia Medica, 15: 35-36.

Mattalucci, C. (a cura di). 2017. Antropologia e riproduzione. Attese, fratture e ricomposizioni della procreazione e della genitorialità in Italia. Milano. Cortina .

Marabello, S., Parisi, M. L. 2018. Divenire madri e HIV: saperi, senso del tempo e soglie corporee, in Giuffrè M. (a cura di). Essere madri oggi tra biologia e cultura. Etnografie della maternità nell'Italia contemporanea. Pisa. Pacini Editore: 101-132.

Mariotti, P., Serpetti, A., Ferrario, A., Zoja, R., Genovese, U. (a cura di) 2011. La Medicina Difensiva. Questioni Giuridiche, Assicurative, Medico-Legali. Santarcangelo di Romagna. Maggioli Editore.

Miller, D. 2018. «Digital Anthropology», in The Cambridge Encyclopedia of Anthropology. Stein, F., Lazar, S., Candea, M., Diemberger, H., Robbins, J., Sanchez, A., Stasch, R. (eds), http://doi.org/10.29164/18digital. (Consultato in data 30/05/2021).

ONU 4-15 settembre 1995. Dichiarazione e programma di azione adottati dalla quarta Conferenza mondiale sulle donne: azione per la uguaglianza, lo sviluppo e la pace. Pechino, §89.

Pasian, P. 2015. The doula: a profession is arising. Autonomie locali e servizi sociali. Quadrimestrale di studi e ricerche sul welfare, 2: 291-306.

Pink, S., Horst, H., Postill, J., Hjorth, L., Lews, T., Tacchi, J. 2015. Digital Ethnography: Principles and Practice. Los Angeles. Sage.

Pitch, T. 1998. Un diritto per due. Milano. Il Saggiatore.

Pizza, G., Ravenda, A. 2016. Esperienza dell’attesa e retoriche del tempo. L’impegno dell’antropologia nel campo sanitario. Antropologia Pubblica, 2 (1): 29-44.

Pizzini, F. 1999. Corpo Medico e Corpo Femminile. Parto, Riproduzione Artificiale, Menopausa. Milano. Franco Angeli.

Quagliarello, C. 2020. Generazione C: gravidanza e parto ai tempi della pandemia. Illuminazioni, 53 (9): 137-163.

Quattrocchi, P. 2018. Oltre i luoghi comuni. Partorire e nascere a domicilio e in casa maternità, Firenze. Editpress.

Quattrocchi, P. 2019. Come riconoscere la violenza di genere. inGenere, https://www.ingenere.it/articoli/come-riconoscere-violenza-ostetrica. (Consultato in data 30/05/2021).

Ranisio, G. 2019. Salute sessuale e riproduttiva: un concetto da rivedere? EtnoAntropologia, 7 (1): 1-18.

Ramundo, A. 2020. A Pantelleria sit-in di genstanti e neomamme davanti all’ospedale: “Basta disservizi”. Dire. Agenzia di Stampa Nazionale. https://www.dire.it/05-10-2020/511234-a-pantelleria-sit-in-di-gestanti-e-neomamme-davanti-allospedale-basta-disservizi/ (Consultato in data 04/03/2021).

Ravaldi, C., Skoko, E., Battisti, A., Cericco, M., Vannacci A., Reiger, K. 2018. Abuse and disrespect in childbirth assistance in Italy: A community based survey. European Journal of Obstetrics and Gynecology, 224: 208–209.

Schirripa, P. 2014. Ineguaglianze in salute e forme di cittadinanza. A.M. Rivista della Società italiana di antropologia medica, 37: 59-80.

Simone, A. 2018. «Diritto/Diritti/Giustizia e pensiero femminista: breve storia di un rapporto controverso», in Femminismo ed esperienza giuridica. Pratiche, argomentazione, interpretazione. Boiano, I., Simone, A. (a cura di). Roma. Edizioni Efesto: 13-25.

Tancredi, L.R., Barondess, J.A. 1978. The problem of defensive medicine. Science, 200: 879-82.



[1] Di seguito le tappe fondamentali di tale iter di continue chiusure e aperture in deroga: Decreto dell'Assessorato per la salute della Regione Sicilia del 2 dicembre 2011 avente come oggetto «Riordino e razionalizzazione della rete dei punti nascita», cui segue Piano della salute regionale 2011-2013 (PRS) approvato con decreto del Presidente della Regione Sicilia n. 282/Serv.4-S.G. del 18 luglio 2011, Delibera dell'Assessorato per la salute della Regione Sicilia n. 128 del 29 marzo 2013, Decreto Ministeriale 11/11/2015. In data 15 novembre 2017, l’Azienda Sanitaria Provinciale di Trapani - mediante Avviso sul proprio sito Istituzionale - comunicava la riattivazione del Punto Nascita dell’Ospedale di Pantelleria, stante l’intervenuta approvazione Ministeriale del regime “in deroga” ex art. 1 D.M. 11/11/2015, per dimostrato conseguimento dei requisiti previsti nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza). Il regime “in deroga” è scaduto in data 31 dicembre 2019 e tuttavia allo spirare di detto termine non ha fatto seguito alcuna comunicazione ufficiale di chiusura del Punto Nascita in questione ad opera delle autorità sanitarie e amministrative competenti, con conseguente accettazione delle partorienti per i mesi di gennaio e febbraio 2020.

[2] Trattandosi di una figura che svolge un ruolo pubblico, su richiesta dell’interessata, si è scelto di usare il nome reale.

[3] www.differenzadonna.org

[4] TAR Sicilia, ordinanza 20 Giugno 2019, n. 728, resa nel procedimento r.g. n. 939 del 2019, instaurato a seguito di ricorso del Comune di Pantelleria che impugnava il Decreto dell'Assessore della Salute della Regione Siciliana del giorno 11 gennaio 2019, avente come oggetto «Adeguamento della rete ospedaliera al D.M. 2 aprile 2015, n. 70», pubblicato, con allegati, in G.U.R.S. n. 6 del giorno 8 febbraio 2019; il Documento Metodologico per la riorganizzazione del Sistema di Rete dell'Emergenza – Urgenza - Allegato 1 al D.A. 22/2019, nella parte in cui ritiene insussistenti gli elementi necessari alla conservazione della deroga per il mantenimento del punto nascita sull'isola di Pantelleria; la nota assessoriale prot. nr. 27899 del 6 aprile 2018, mai comunicata all'amministrazione ricorrente e mai pubblicata, con cui l'Assessorato ha “relazionato sullo stato dell'arte” e la nota assessoriale prot. nr. 52073 del 6 luglio 2018, mai comunicata all'amministrazione ricorrente e mai pubblicata, con cui l'Assessorato avrebbe relazionato al Ministero «sull'assetto dei PTI/PTE della Regione» (Punti di primo intervento/Presidi territoriali d'emergenza) e sulla funzionalità degli stessi in relazione al monitoraggio svolto a partire dal 2013, motivando la richiesta di mantenimento in deroga di alcuni di essi.

[5] https://www.facebook.com/pantelleriavuolenascere (consultato in data 17 marzo 2021).

[6] Durante le interviste è emerso come la presenza del presidio delle donne davanti all’ospedale ha permesso ai cittadini di far presente quali altri servizi fossero stati sospesi. Da questo scambio è nata l’inclusione dei pazienti oncologici.

[7] Il presente contributo è il frutto di una riflessione condivisa e collettiva, tuttavia i paragrafi si attribuiscono come segue: a Ilaria Boiano §§1 e 2; a Veronica Buffon §§1 e 4; a Cristina Laura Cecchini §3, mentre le conclusioni sono frutto della scrittura di tutte le autrici.

[8] Accordo, ai sensi dell'articolo 9 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, le province, i comuni e le comunità montane sul documento concernente Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo (Rep. atti n. 137/CU) (11A00319) (GU Serie Generale n.13 del 18-01-2011).

[9] Si vedano ex plurimis TAR Lombardia RG 809/2018; Tar Marche RG 807/2015;

[10] Interrogazione Atto n. 3-00283 (con carattere d'urgenza) sui punti nascita in Sicilia e nelle isole minori Pubblicato il 29 luglio 2013, nella seduta n. 81 Svolto nella seduta n. 144 dell'Assemblea (28/11/2013).

[11] Procedura gestionale di sistema organizzazione, gestione e profilo assistenziale della gravidanza a basso rischio e del puerperio fisiologico distretto e presidio ospedaliero di Pantelleria PRG.006.DrQr.

[12] Allegati 2 e 3 della procedura gestionale: Dichiarazione di responsabilità personale relativo al rifiuto della gravida di presa in carico da parte degli ambulatori della gravidanza a lieve medio alto rischio sulla terraferma; Dichiarazione di responsabilità personale relativa al rifiuto della gravida di presa in carico da parte dell’ambulatorio della gravidanza a basso rischio presso il termine ospedaliero sulla terra ferma (A.G.B.R.P.T.)

[13] Per rispetto della riservatezza sono stati usati degli pseudonimi, tranne che per Annalucia Cardillo, portavoce del comitato PVN.

[14] D.P.C.M. del 9 marzo 2020.

[15] Per una discussione del concetto di “salute sessuale e riproduttiva (SSR)” rimandiamo all’articolo di Ranisio (2019). Nei servizi sanitari sono inclusi l’interruzione di gravidanza e gli screening. Nonostante questo tema non sia stato mai discusso dalle donne del comitato, ci auguriamo di includerlo nei futuri passaggi della ricerca. Allo stesso modo abbiamo intenzione di includere donne e uomini, che hanno temporaneamente transitato sull’isola per usufruire dei servizi sanitari non presenti sulle altre isole minori.

[16] Chiara, dicembre 2020. Intervista condotta da Veronica Buffon.

[17] Chiara, dicembre 2020. Intervista condotta da Veronica Buffon.

[18] Le posizioni della Chiesa sul punto nascita sono in favore della natalità e a sostegno alla famiglia. Il punto nascita e i servizi riguardanti la salute sessuale e riproduttiva a cui ci riferiamo nell’articolo includono anche l’interruzione di gravidanza. Questa differenza di posizioni anche se non analizzata viene messa in evidenza dall’uso di “alleato inaspettato”.

[19] Giulia, dicembre 2020. Intervista condotta da Veronica Buffon.

[20] Luisa, dicembre 2020. Intervista condotta da Veronica Buffon.

[21] Annalucia, gennaio 2020. Intervista condotta da Veronica Buffon.

[22] Luisa, dicembre 2020. Intervista condotta da Veronica Buffon.

[23] Luisa, dicembre 2020. Intervista condotta da Veronica Buffon.