Legami di legge?

Riproduzione, genere, affetti, sessualità tra norme e pratiche

Maria Carolina Vesce

Università degli Studi di Siena

Chiara Quagliariello

École des Hautes Études en Sciences Sociales

Yet individuals or persons or subjects are always embedded

in webs of relations, whether of affection and solidarity,

or of power and rivalry, or frequently of some mixture of the two.

Whatever “agency” they seem to “have”as individuals

is in reality something that is always in fact interactively negotiated.

In this sense they are never free agents, not only in the sense

that they do not have the freedom to formulate

and realize their own goals in a social vacuum, but also in the sense

that they do not have the ability to fully control these relations

toward their own ends. As truly and inescapably social beings,

they only can work within the many webs

of relations that make up their social worlds.

(Ortner 2006: 151-152).

«Viviamo immersi in un universo normativo» scriveva qualche anno fa Tamar Pitch (s.d.), un universo che si dispiega ben oltre lo spazio di disciplinamento imposto dalle norme di legge e dai dispositivi giuridici, per includere i mondi sociali e morali all’interno dei quali i soggetti sono inseriti e agiscono. Su queste tensioni normative, sulle fratture, le strettoie, i vuoti e le riconfigurazioni creative che si generano nel confronto con le pratiche dei soggetti si concentrano le autrici dei saggi che compongono questa special issue, nata dalle riflessioni scaturite a margine di un panel e di un workshop ospitati nel convegno annuale della SIAA, ospitato nel 2020 dall'Università di Parma. Ci proponiamo ora di interrogare le torsioni applicative dei saperi antropologici in alcune sfere della vita che sempre più sono oggetto di contesa e di dibattito nel discorso pubblico italiano da un’angolatura diversa rispetto a quella da cui, in occasione dell’appuntamento parmense, avevamo guardato, da un lato, agli usi pubblici delle genealogie e, dall’altro, alla salute sessuale e riproduttiva in tempi di crisi[1]. Le relazioni di genere e generazione, i rapporti procreativi, i legami affettivi, le relazioni e le pratiche sessuali sono da tempo al centro di istanze regolamentatrici, che muovono da posizioni e assumono traiettorie diverse, configurandosi come vere e proprie arene in cui i corpi divengono i terreni di lotta su cui combattere diversi tipi di battaglia identitarie (Pandolfi 2003: 141). Tali istanze, sospese nel continuum tra orientamenti emancipatori e repressivi, tra autodeterminazione/riconoscimento e sorveglianza/controllo dei soggetti, consentono di evidenziare come, lungi dall’essere limitata ad un tempo, la crisi che si genera nella non coincidenza tra norme e pratiche emerga in queste (e in altre) sfere della vita come sistemica.

A partire da questa constatazione, già nelle giornate di avvicinamento al convegno parmense avevamo condiviso una certa frustrazione per questo sezionamento temporale di un vissuto che nella nostra esperienza di ricercatrici precarie – di donne bianche cisgenere quasi-quarantenni provenienti da famiglie della piccola borghesia della provincia meridionale, con un’alta formazione accademica in antropologia e legate dal posizionamento femminista, oltre che dal comune interesse per i temi del corpo e della cura osservati attraverso il prisma di genere – assumeva un’estensione strutturale quasi-esistenziale. Costrette nei nostri appartamenti dalle regole di contenimento del contagio da COVID-19, di fronte all’emersione insolente delle disuguaglianze connesse ai differenziali sociali e alle condizioni materiali dell’esistenza cui la pandemia ci aveva esposte, e investite in prima persona dalla radicalizzazione di queste condizioni, ci eravamo trovate a riflettere sulle estensioni corporee della crisi, sulle sue forme incarnate – nei corpi e in alcuni corpi in particolare. Ci pareva che l’ordinarietà della crisi emergesse non tanto (o non solo) dall’esercizio riflessivo delle etnografe, ma soprattutto dalle esperienze con cui avevamo avuto occasione di confrontarci nel corso delle nostre ricerche sul campo, in altri tempi di crisi, o in tempi soggetti ad altre crisi. Ri-materializzare questo continuum, ricollocandolo nei contesti in cui emerge e si manifesta, ci sembrava quindi il contributo più utile che, come antropologhe, avremmo potuto offrire all’analisi del presente. Con prudenza cogliemmo quindi l’invito a tenere il punto fermo sull’etnografia come pratica ineludibile ai fini della produzione di discorso antropologico (Zanotelli 2020).

Vorremmo partire dall’etnografia per presentare le cinque ricerche qui riunite, maturate in tempi e contesti diversi, esito di percorsi in cui ricerca, lavoro, impegno politico e formazione si intrecciano in trame complesse. Alcune nascono in ambiente accademico, a conclusione di percorsi di tesi di laurea magistrale (Bochi; Manfroni) o di dottorato (Consoli), altre da traiettorie in cui più labile è il confine tra ricerca ed esperienze professionali delle autrici (Boiano, Buffon, Ceccini; Vesce). Attraverso l’etnografia e la netnografia, le antropologhe e le giuriste che intervengono in queste pagine interrogano la relazione tra norme e pratiche nell’ottica di un uso pubblico di quei saperi, prodotti dall’incontro e nel confronto con l’umano, che ci ostiniamo a definire antropologici proprio in virtù del metodo (e delle relazioni) attraverso cui sono prodotti. Nell’ottica cioè di un’antropologia “applicata” che faccia «del “potere” e dei suoi effetti sugli attori sociali, l’oggetto di [un’]accurata e spregiudicata analisi antropologica» (Colajanni 2014: 34) al fine di produrre trasformazione sociale.

Nelle pagine di questa special issue l’etnografia emerge di volta in volta come uno strumento utile a smascherare le contraddizioni insite in una visione del diritto e dei diritti il cui soggetto universale si smaterializza in una pluralità di vincoli e procedure che vanno dai testi di legge ai protocolli di presa in carico socio-sanitaria, dalle circolari scolastiche o ministeriali ai manuali di classificazione delle patologie stilate dalle principali agenzie internazionali o dalle società scientifiche. Si fa vettore dell’azione politica, l’etnografia, strumento di quella giuridica. Consente di interrogare i limiti di quelle rappresentazioni che si fermano alla definizione giuridica dei legami sociali oggetto di intervento normativo da parte dello Stato, senza rinunciare all’analisi degli effetti naturalizzanti delle leggi (Bourdieu 2017: 115). A partire dal quesito iniziale, da cui deriva la scelta del titolo di questo numero monografico, le autrici dei saggi si sono impegnate nello sforzo di comprendere le intersezioni tra i diversi livelli normativi (sociale, morale, giuridico) mostrando da un lato come le leggi contribuiscano a riprodurre la distinzione tra ciò che è normale (perché riproduce la norma) e ciò che non lo è; dall’altro come sia proprio questa distinzione naturalizzata a generare – nelle pratiche – quei vuoti, quelle fratture, quelle riconfigurazioni creative che richiederanno un nuovo intervento normativo. Pur da prospettive e punti di vista diversi (per età, posizione sociale, inquadramento lavorativo, formazione o appartenenza disciplinare) le autrici si confrontano con il mondo dei servizi in diversi territori del paese, lasciando emergere proprio quel continuum tra emancipazione e controllo – tra soggettivazione e assoggettamento. Dalla costruzione della figura del tutore di minori stranieri non accompagnati come espressione di genitorialità sociale (Consoli), alle contraddizioni che si generano nell’intersezione tra diritti sessuali e riproduttivi e le politiche di razionalizzazione dei servizi (Boiano, Buffon, Cecchini); dalla normalizzazione della madre “dalla pelle nera” nelle rappresentazioni degli operatori sociali e socio-sanitari (Bochi), alla definizione normativa delle sessualità adolescenti veicolata nei contesti consultoriali e scolastici (Manfroni), fino alle classificazioni diagnostiche della condizione trans e alla loro traduzione in protocolli di cura e dispositivi di legge (Vesce) l’interesse al centro delle cinque etnografie qui riunite riguarda le molteplici sfaccettature delle relazioni tra corpi, soggetti e istituzioni in diversi contesti dell’Italia continentale e insulare. Colti nella loro unità, i saggi consentono di apprezzare l’utilità di un approccio materialista e intersezionale per l’analisi dei meccanismi di produzione e riproduzione delle differenze lungo assi diverse (di genere, sesso, “razza”, età, classe, nazionalità, dis/abilità, ecc.) (Crenshaw 1989; Gillaumin 2020; Marchetti 2013; Ribeiro Corossacz 2013). Disegnano, inoltre, una traiettoria che permette di ripercorrere l’interesse antropologico per questi “campi” e di tornare sul ruolo cruciale svolto dall’antropologia e dall’etnografia femminista (Abu-Lughod 1990; Davis 2016; Fusaschi 2021; Strathern 1987a) nello svelamento degli effetti naturalizzanti della definizione normativa dei soggetti in diverse sfere della vita: dalle pratiche sessuali a quelle procreative, dalle relazioni parentali fino alla (ri)produzione delle differenze inscritte nei corpi (Rubin 1975, 1984; Mathieu 1985). Riconoscendo e rivendicando la posizionalità dello sguardo parziale, con il suo armamentario pratico e teorico, il femminismo ha rappresentato un importante punto di svolta per la disciplina, pur con esiti e riscontri differenti nelle diverse tradizioni intellettuali nazionali (Fusaschi 2021; Papa 2018). In particolare, a partire dalla seconda metà degli anni ‘70, le riflessioni sugli effetti sociali dei condizionamenti normativi sono emerse in modo significativo nel quadro degli studi sulle esperienze di genere e sessualità, in relazione ai modelli procreativi e alle pratiche riproduttive. Come sottolinea Françoise Heritier (2004), la riproduzione della vita è una delle sfere in cui, da sempre, si manifesta la forza delle leggi sociali e giuridiche: è proprio in nome del valore attribuito a quest’attività fondamentale per il funzionamento delle società che la sessualità si viene a configurare come una sfera attraversata da molteplici forme di disciplinamento dei comportamenti individuali e collettivi. La relazione tra genere e procreazione, d’altra parte, costituisce un aspetto fondamentale per il ripensamento critico della relazione sesso/genere come un sistema di disposizioni attraverso cui le società trasformano la materia prima biologica del sesso e della procreazione in un prodotto dell’attività umana (Rubin 1975). Nel 1982, durante una conferenza organizzata da Jane Collier, Sylvia Yanagisako e Michelle Rosaldo a Bellagio, sul lago di Como, e dedicata al rapporto tra Feminism and Kinship Theory, fu Marylin Strathern a sottolineare la necessità di confrontarsi in via preliminare con le concezioni e le relazioni di potere, per giungere poi all’analisi delle asimmetrie di genere (Tsing, Yanagisako 1983; Strathern 1987b). Al di là degli approcci identitari, non di rado essenzializzanti, sesso, genere e sessualità vennero considerati, da quel momento in poi, come vettori di oppressione (Rubin 1984), come messo in luce dal femminismo post-coloniale e dalle riflessioni prodotte dalle donne “dalla pelle nera”. Gli studi di Saba Mahmood (2001, 2004), Chandra Mohanty (2012), Angela Davis (1985, 2018[1981]) hanno ulteriormente contribuito a materializzare agli occhi delle femministe bianche gli effetti essenzializzanti del nodo teorico del “soggetto donna” e di una visione culturalista e umanitarista che vede nelle “altre” i soggetti “da salvare” (Abu-Lughod 2013).

Da un lato, quindi, le forme di disciplinamento e di incorporazione delle norme sociali, etiche, giuridiche (Memmi 2003); dall’altro l’attenzione alle pratiche di resistenza di soggetti che sfuggono ad un rigido e univoco inquadramento a partire dai codici (di legge, culturali, comunicativi, di comportamento) dominanti hanno aperto nuove prospettive per lo studio antropologico della relazione tra norme e pratiche in quelle sfere della vita che erano state concepite fino a quel momento come afferenti alla vita intima del soggetto. Come ha recentemente messo in luce Margot Weiss (2016), l’allargamento del raggio d’interesse ai sistemi normativi di sesso/genere e alle loro trasgressioni ha permesso di considerare le molteplici e diverse forme di ostracizzazione che investono le marginalità sessualizzate e di pensare, di conseguenza, genere e sessualità in relazione alla rinascita dei nazionalismi (Puar 2017), ai processi innescati dal capitalismo globale e dalla globalizzazione (Ong 1987; Ongaro 2001).

In questo scenario dalle sfaccettature plurali, riallacciare le fila del discorso – come in un rammendo, più che in una tessitura di prima mano – ci è apparso utile e urgente. Nel momento in cui, mentre scriviamo, nel paese in parlamento si dibatte animatamente la proposta di legge contro l’omo-bi-transfobia, la misoginia e l’abilismo, mentre le disposizioni in materia di contenimento del contagio continuano a orientare le nostre vite, ci è sembrato che il contributo dell’etnografia all’analisi delle relazioni tra norme e pratiche in alcuni campi specifici potesse essere di stimolo a un’antropologia che vede nella produzione (posizionata) di sapere uno strumento di azione politica e di trasformazione sociale. In questo sforzo si muovono le autrici dei saggi che compongono questa special issue, scandagliando solo alcuni dei campi su cui è possibile osservare la riproduzione delle differenze e la perpetuazione delle disuguaglianze. Restano fuori da queste pagine altre possibili riflessioni che affrontino per esempio in maniera sistematica l’onda lunga del regolamentarismo in materia di lavoro sessuale (dalla legge Merlin alle più recenti prospettive antiabolizioniste) o la relazione tra normatività, campo giuridico e violenza di genere (Gribaldo 2014; 2019; 2021).

In attesa, quindi, di un confronto più serrato su questi temi, in campi i cui legami disegnano una ragnatela che è possibile osservare in controluce, consegniamo queste pagine ai lettori e alle lettrici di Antropologia Pubblica, nella convinzione che la posta in gioco sia molto più alta della formulazione di nuovi strumenti di regolamentazione, troppo spesso improntati ad atteggiamenti punitivi e disciplinanti, e incapaci di fare i conti con i sedimenti vivi, la materialità iridescente e complessa dell’umano.

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[1] L’espressione compariva sia nel titolo del panel organizzato dalle due curatrici di questo numero monografico e intitolato Rappresentare la genealogia in tempi di crisi, che nel workshop che Chiara Quagliariello ha condotto insieme a Lucia Gentile e Rosanna Sestito, dedicato alle Nascite con(tempo)ranee: la salute sessuale e riproduttiva in tempi di crisi.