Recensione

Simoni, Alessandro 2019. Rom, antiziganismo e cultura giuridica. Prospettive di analisi, Roma, CISU, pp. 176

Giorgia Decarli

Università degli Studi di Verona

Pur coprendo un arco temporale di circa un ventennio, ogni scritto contenuto in questo volume è quanto mai attuale. Se è vero, infatti, che la storia della persecuzione dei rom nell’Europa continentale è vecchia di almeno seicento anni, in Italia l’accanimento nei loro confronti sembra conoscere una rinnovata stagione dal 2008 quando, per la prima volta nella storia repubblicana italiana, gli zingari sono divenuti l’esplicito bersaglio di un programma politico nazionale[1].

L’attualità del contributo è arricchita dall’originalità di uno sguardo che usa distanze focali variabili, l’una ravvicinata sull’Italia e l’altra più estesa ad includere Stati Uniti e Regno Unito.

I contributi presentati — avverte l’autore — non sono degli affreschi sulla vita dei rom, quanto piuttosto osservazioni utili a chi già abbia familiarità con le loro complessità socio-antropologiche e con il discorso pubblico dell’Italia contemporanea sul “problema degli zingari”. Essi nemmeno ambiscono a contrastare l’avversione degli ziganofobi, bensì ad enfatizzare l’importanza che tra l’opinione personale di questi ultimi e l’approccio istituzionale corra una linea di demarcazione segnata da un onere, in capo alle istituzioni, in particolare a quelle giudiziarie, di stare al passo con l’avanzamento delle conoscenze scientifiche sui rom nonché dal loro dovere di garantire il principio di uguaglianza. Se, infatti, il sentire comune rileva in ambito giuridico — non potendo il legislatore e il giudice ignorare il significato che un vocabolo può assumere per interpreti altri — è vero anche che diritti e garanzie dovrebbero restare ancorati ai vincoli della realtà e della verità e che la prassi non dovrebbe essere normativizzata senza essere stata sottoposta a un efficace controllo di costituzionalità e scientificità: quest’ultimo inteso quale esito di un processo dialogico instaurato tra molteplici saperi.

I primi sei capitoli del volume si concentrano sul sentimento antizigano annidato nella sfera giuridica italiana e riflesso di un’ossessione per gli zingari diffusa nella più ampia cultura popolare e istituzionale (inter alia Piasere 2012, 2015; Sigona 2002; Pontrandolfo 2018). Le riflessioni offerte da Simoni intersecano molteplici approcci teorici critici. Essi muovono dalla critical race theory (Thomas, Zanetti 2005), figlia dell’esperienza afroamericana ma divenuta un prezioso strumento di rilettura radicale del diritto, utile a scovare le forme di abdicazione del mito della neutralità giuridica. Rappresentano quindi un contributo al più ampio movimento dei critical legal studies (Unger Mangabeira 2015), che enfatizzano l’ambiguità del diritto e la sua potenziale idoneità, più o meno consapevole, a conservare lo status quo delle strutture di potere, alimentando le ineguaglianze. Arricchiscono, inoltre, il pensiero sviluppato dai primi studiosi della law and society e la loro pratica di guardare agli atti giuridici quali chiavi di lettura di ideologie latenti e per questo critici, talvolta, rispetto all’idea di una giustizia possibile attraverso il diritto.

Queste prime due parti della raccolta mettono bene in luce il ruolo giocato dai giuristi italiani nei processi di marginalizzazione e criminalizzazione dei gruppi rom. Un ruolo non dissimulato per un lungo periodo della storia del diritto italiano ma espressamente riaffermato dalla pubblicazione, nel 1914, della monografia intitolata Il problema di una gente vagabonda in lotta con le leggi, del giudice Alfredo Capobianco. Secondo Simoni, benché al momento della divulgazione la costruzione dello stereotipo negativo dello zingaro fosse già sostanzialmente compiuta, il volume si fece manifesto jus-politico della repulsione verso gli zingari e di una (aprioristica) necessità di assicurarli alla giustizia. Il richiamo del libro nei capitoli successivi, dedicati alla cultura giuridica italiana contemporanea, vuole enfatizzare una mancata metamorfosi dello status di “zingaro” rispetto al passato: oggi come allora, infatti, egli è indistintamente percepito come “anti-legale”, delittuoso per natura, straniero e nomade. È inevitabile allora scorgere in particolari norme, provvedimenti amministrativi e processi giudiziari del presente, espressioni di un pregiudizio antizigano radicatosi in Italia nell’arco storico. Un pregiudizio che si nutre del senso comune antizigano, ma che lo alimenta a sua volta. Dopo essere stato assimilato, infatti, esso viene restituito alla comunità sotto forma di un odio legittimato — invece di sanzionato — e di una persecuzione che si configura come funzione pubblica ovvero attività svolta dalle istituzioni nell’interesse della società.

Quella giuridica italiana è una cultura mimetica che sa armonizzarsi con il più ampio substrato in cui vive (il modo di pensare della maggioranza) e che, al contempo, sa modificarsi per tentare di sottrarsi allo sguardo di una contro-cultura — ahimè esigua — sensibile ai principi dell’uguaglianza e dell’imparzialità. Travestimenti terminologici come la sostituzione di “zingaro” o “rom” con “nomade”, divieti di esercitare mestieri come quelli girovaghi o attività come la questua, tuttavia, pur offrendo una parvenza di rispetto della legalità formale (non contenendo richiami a particolari identità etniche) non sono sufficienti a fuorviare chi, come Simoni, ha conosciuto il mondo dei rom ed ha imparato a scorgere le subdole sembianze che l’antiziganismo ancora può assumere. A tal proposito il profilo professionale dell’autore è un aspetto degno di nota. Benché, infatti, la critica alla cultura giuridica italiana si ripresenti in almeno altri due contributi d’eccellenza nel panorama nazionale (Saletti Salza 2010; Tosi Cambini 2008), ciò che rende le riflessioni contenute in questo volume altresì apprezzabili è il fatto di originare dalla mente di un giurista, in un contesto disciplinare e professionale (quale quello giuridico italiano) dove l’auto-critica è virtù rara. Simoni intraprende un delicato processo di introspezione delle professioni giuridiche in relazione ai rom da cui emergono la natura congetturale delle fonti dove originano molti atti giuridici e la fragilità di sentenze emesse da giudici alieni agli studi etnografici sui rom. Emerge anche, tuttavia, come la mancanza di dialogo interdisciplinare possa profilarsi alla stregua di una scelta consapevole, utile ad eludere un confronto che rischierebbe di far cedere un — sedicente — sistema di saperi, consolidato e funzionale ad una pratica giuridica capace di celare (ai più) forme di razzismo istituzionale di natura ziganofoba.

Puntando i riflettori sulla porosità del confine tra senso comune e meccanismi istituzionali, Simoni rivela l’insidiosità di un sistema solo simbolicamente imparziale[2], dietro la cui facciata esercizi di potere arbitrari e discriminazioni sono assolti quando non ampiamente legittimati, nel senso di ritenuti idonei in relazione ai soggetti nei cui confronti si attuano. La sfera giudiziaria, ovvero l’entità giuridica terza per definizione, non si esime da capziosità ed eccessi di discrezionalità. In essa si è fatta sempre più strada l’importanza della persuasione attraverso lo storytelling, ovvero il racconto basato sull’esperienza personale degli individui (Massaro 1989). Dal volume, tuttavia, emerge un’incapacità di soppesare equamente le narrazioni delle parti in causa, quando a giudizio vi è uno zingaro. Il suo racconto non gode della stessa credibilità di quello di un gağó, essendo la comprensione empatica da parte degli attori legali compromessa da stereotipi tanto profondi quanto reprensibili.

Nella terza ed ultima parte del volume — costituita da tre capitoli — lo sguardo si sposta dall’Italia ad altre realtà giuspolitiche, in particolare gli Stati Uniti e il Regno Unito, nella prospettiva di una “ricerca comparativa problem oriented” (Simoni 2019: 96).

Il mondo giuridico statunitense iniziò a confrontarsi sulla relazione tra i rom e le istituzioni statali in occasione di un dibattito sul diritto consuetudinario zingaro che coinvolse alcuni tra i più noti ziganologi del tempo. Dibattito che Simoni descrive come il primo motore di una “ziganologia giuridica” — affievolitasi, purtroppo, nel giro di pochi anni — che seppe svelare aspetti prima d’ora ignoti agli studiosi di diritto come l’esistenza di — più o meno articolati — sistemi di amministrazione della giustizia (kris), di figure con funzioni giudiziarie (krisnitorya) e di altre forme di controllo sociale (come le faide o l’elusione). Pur non potendosi dilungare nell’esplorazione dei contributi susseguitisi in un quindicennio circa (a partire dell’opera del giurista tedesco Weyrauch risalente al 1993), l’autore getta le basi di una riflessione su alcuni aspetti critici di quegli studi pionieristici come, ad esempio, la tendenza ad un’eccessiva astrazione, incapace di dare ragione della grande varietà riscontrabile tra i gruppi rom. Come emerge bene dal capitolo ottavo sul diritto matrimoniale zingaro, la conoscenza capillare dei gruppi rom è funzionale alla risoluzione di problemi interpretativi che possono avere importanti ricadute laddove alcune pratiche (come, ad esempio, il versamento della ricchezza della sposa) entrino nel raggio di osservazione delle istituzioni statali. Ciò che Simoni sembra voler enfatizzare nella cornice complessiva di questi capitoli, tuttavia, è soprattutto la consapevolezza — sviluppatasi in alcuni giuristi d’oltreoceano — dell’importanza di conoscere gli aspetti normativi interni delle comunità di minoranza e di valorizzarli quali “dat[i] imprescindibil[i] per la progettazione di ogni intervento pubblico di lungo periodo” (Simoni 2019: 95).

Stando all’autore l’esempio che viene d’oltremanica è anch’esso perfettibile, ma meritevole di citazione per il suo instancabile dinamismo. Gli zingari non sembrano rientrare nel discorso inglese sul multiculturalismo, essendo essi percepiti (qui come altrove) alla stregua di una presenza da minimizzare, piuttosto che tutelare. Il relativo miglioramento della loro condizione nel Regno Unito, risalente agli anni Settanta, derivò dall’esigenza di contemperare molteplici interessi: placare le proteste della popolazione rurale contro le soste illecite e, al contempo, assecondare i movimenti per i diritti civili delle organizzazioni zingare. Così, nel 1968, nacque il Caravan Site Act, strumento giuridico degno di nota, ma non esente da aspetti critici. L’aprioristica scelta legislativa di far coincidere un’astratta natura zingara con la pratica del nomadismo, infatti, da un lato precluse ai rom che avevano rinunciato a nomadizzare la possibilità di appellarsi all’Atto; dall’altro lato ampliò la potenziale estensione di quest’ultimo a chiunque praticasse uno stile di vita errante, a prescindere dai tratti etnici. Al contempo, tuttavia, lo status di “gypsy” ottenne un riconoscimento giuridico. La seconda parte dell’Atto fu abrogata nel 1994 e la sua generale portata fortemente ridotta sul presupposto che la scelta di una vita nomade non doveva comportare posizioni di privilegio rispetto all’adozione di una vita sedentaria. Consapevole delle insidie insite in questo richiamo retorico del principio di uguaglianza formale, però, il mondo giuridico inglese pare non aver tardato a ribadire la facoltà di derogare al diritto comune, laddove necessario al raggiungimento dell’uguaglianza sostanziale delle minoranze rispetto alla maggioranza.

Simoni offre così al lettore due esperienze la cui analisi critica è utile nella gestione del conflitto tra identità rom e diritto statale ma, prima ancora, per dare al problema una maggiore «visibilità presso la comunità dei giuristi, che è la necessaria premessa affinché la questione zingara trovi un razionale inquadramento» (Simoni 2019: 130). In questo suo intento, la costruzione di un dialogo con le scienze antropologiche si rivela necessaria, e ciò giustifica il motivo per cui questa recensione merita di apparire su Antropologia Pubblica. Nell’ultimo ventennio, gli studi sull’antiziganismo istituzionale si sono sviluppati proprio grazie allo straordinario lavoro degli antropologi. Se da un lato, però, tali studi sono ignorati dalle istituzioni giuridiche e politiche italiane per i motivi sopraccitati, dall’altro essi tendono ad un’autoreferenzialità legata, forse, al timore di una non comprensione o di una strumentalizzazione, quali conseguenze del basso status di cui purtroppo gode l’antropologia nel dominio pubblico nazionale. Il superamento di questa tradizionale diffidenza tra scienze sociali, tuttavia, non può più attendere e il coraggioso monito di Simoni merita di essere ascoltato dai giuristi, ma anche rinsaldato dagli antropologi.

Bibliografia

Capobianco, A. 1914. Il problema di una gente vagabonda in lotta con le leggi. Napoli. Raimondi.

Herzfeld, M. 2001. Anthropology: Theoretical Practice in Culture and Society. Oxford. Blackwell.

Massaro, T.M. 1989. Empathy, Legal Storytelling, and the Rule of Law: New Words, Old Wounds? Michigan Law Review, 87 (8): 2099-2127.

Piasere, L. 2012. Scenari dell’antiziganismo. Tra Europa e Italia, tra antropologia e politica. Firenze. SEID.

Piasere, L. 2015. L’antiziganismo. Macerata. Quodlibet.

Pontraldolfo, S. (a cura di). 2018. Politiche locali per rom e sinti in Italia. Roma. CISU.

Saletti Salza, C. 2010. Dalla tutela al genocidio? Le adozioni dei minori rom e sinti in Italia (1985 - 2005). Roma. CISU.

Sigona, N. 2002. Figli del ghetto. Gli italiani, i campi nomadi e l’invenzione degli zingari. Civezzano. Nonluoghi Libere Edizioni.

Thomas, K., Zanetti G. (a cura di). 2005. Legge, razza e diritti, La Critical Race Theory negli Stati Uniti. Reggio Emilia. Diabasis.

Tosi Cambini, S. 2008. La zingara rapitrice. Racconti, denunce, sentenze (1986 - 2007). Roma. CISU.

Unger Mangabeira, R. 2015. The Critical Legal Studies Movement. New York. Verso.

Weyrauch, W.O., Bell M.A. 1993. Autonomous Lawmaking: The Case of the Gypsies, Yale Law Journal. 103: 323-399



[1] È l’anno di emanazione del Decreto emergenza nomadi, dichiarato illegittimo con sentenza n. 6050/2011 del Consiglio di Stato.

[2] Sull’arbitrarietà dei burocrati celata dalla neutralità del sistema, Herzfeld 2001.