Recensione

Barberis E., Boccagni P., Il lavoro sociale con le persone immigrate. Strumenti per la formazione e la pratica interculturale nei servizi, Santarcangelo di Romagna (RN) Maggioli Editore 2017.

Federica Tarabusi

Università di Bologna

A fronte dei molteplici cambiamenti che hanno investito le politiche del welfare, registriamo un impegno crescente da parte degli scienziati sociali non solo a contribuire all’analisi dei servizi e del lavoro sociale, ma anche a potenziare il profilo professionale di operatori e assistenti sociali, chiamati a confrontarsi da tempo con famiglie e persone immigrate.

All’interno di questo quadro, il volume di Barberis e Boccagni, sociologi del welfare e delle migrazioni, fornisce un rilevante contributo alla formazione del personale impegnato nell’intervento sociale. Discostandosi dallo stile della tradizionale pubblicazione accademica che si rivolge agli ‘addetti ai lavori’, il testo predispone un complesso di strumenti teorici, metodologici e riflessivi che mirano a supportare i servizi implicati nella gestione della diversità culturale.

Per quanto le migrazioni non costituiscano nel nostro paese un fenomeno recente, ma al contrario strutturato, multi-sfaccettato e in continua evoluzione, la relazione con l’utenza straniera continua, infatti, a rappresentare una fonte di particolare tensione nel lavoro sociale e a interrogare in modo profondo (sul piano organizzativo, deontologico, metodologico, delle pratiche lavorative) le diverse professioni coinvolte. Inoltre, come ben evidenziato dagli autori, i cambiamenti degli scenari contemporanei, connessi alla diversificazione dei flussi migratori e al moltiplicarsi di progetti migratori che spesso collegano le società di origine e di approdo, hanno contribuito a mettere in discussione i consolidati modelli organizzativi e le tradizionali modalità di intervento nelle istituzioni del welfare, così come i fabbisogni formativi del personale che in esse opera.

In dialogo con il dibattito scientifico e professionale nazionale e internazionale, il volume cerca così di colmare il divario che si evidenzia nel lavoro quotidiano degli operatori, spesso soffocati fra l’urgenza di rispondere a domande sempre più elaborate di protezione sociale e le difficoltà di decifrare fenomeni socio-culturali che sfuggono a soluzioni preconfezionate, standardizzate o reperibili in un «dizionario delle culture pronto all’uso» (pag. 165).

In che termini questa proposta, che attinge a una prospettiva affine ma non sovrapponibile a quella antropologica, dialoga con il dibattito sull’applicazione del nostro sapere nel lavoro sociale? Quali indicazioni può fornire alle esperienze di antropologi che si misurano con la domanda sociale di formazione in servizi oggi attraversati da profonde contraddizioni e trasformazioni?E cosa suggerisce in merito al contributo che il nostro sapere può fornire al dibattito delle professioni sociali?

In primo luogo, cogliamo con particolare riguardo il processo di traduzione e mediazione di un apparato teorico-concettuale critico, non sempre facilmente digeribile, quale quello della sociologia del welfare e delle migrazioni, in nozioni, linguaggi e metodi che risultano non solo intellegibili agli attori professionali ma anche declinabili nei loro specifici ambiti lavorativi. A fronte di un’attenzione marginale dedicata ai processi migratori e alla diversità culturale nei percorsi formativi di servizio sociale, vengono predisposte in modo sintetico e poco gergale alcune significative mappe concettuali di riferimento, mantenendo al contempo saldo l’ancoraggio a un approccio critico e intersezionale nell’analisi del fenomeno migratorio.

Con estrema attenzione ai dilemmi degli operatori e ai contesti istituzionali in cui operano, gli autori riescono a mettere al servizio delle professioni sociali quegli strumenti interpretativi decostruttivi nell’analisi della diversità culturale che fungono da antidoto alle letture semplificate e reificate delle differenze, a volte prevalenti nella formulazione delle politiche pubbliche e nelle pratiche del lavoro sociale.

Su questo versante, il volume fornisce prova di quanto il lavoro applicato non sia subordinato a quello teorico, ma implichi al contrario di attivare risorse e competenze che richiedono di rimaneggiarlo, raffinarlo e comunicarlo a pubblici e attori differenti che interagiscono nello spazio sociale. Come ben noto ai ricercatori e agli antropologi professionisti impegnati nei servizi, questa operazione, tutt’altro che scontata e immediata, richiede infatti solidi riferimenti teorici e una rigorosa conoscenza empirica delle politiche pubbliche, delle istituzioni del welfare e dei contesti operativi del lavoro sociale.

È grazie a questo background teorico e di ricerca che ci avviciniamo con una certa “sensibilità olistica”, familiare all’antropologia culturale, alle molteplici dimensioni (istituzionali, politiche, professionali, biografiche) che interagiscono nel lavoro sociale. Cogliamo così, nel primo capitolo, le principali sfide in capo ai servizi sociali in uno scenario storico caratterizzato da scarsità di risorse, incertezza istituzionale, carenze formative del personale a fronte di una crescente politicizzazione e “volgarizzazione” del fenomeno migratorio nel discorso pubblico.

Collocando il caso italiano nel dibattito internazionale, si forniscono dunque agli operatori strumenti critici per interpretare i cambiamenti che attraversano i propri contesti istituzionali e lavorativi. L’analisi del ruolo di “filtro” svolto dai servizi e dalle professioni del sociale (nel secondo capitolo) aiuta a cogliere tanto la specificità del lavoro con gli utenti stranieri e le ricadute operative che i bisogni espressi dai migranti producono nelle traiettorie di accesso ai servizi — dalla prima accoglienza alla rete dei servizi territoriali connessi ai sistemi locali di welfare — quanto le criticità che plasmano le pratiche di intervento ed i percorsi formativi degli operatori e studenti di servizio sociale. Queste riflessioni, sostenute da importanti approfondimenti nei box di sintesi e suggerimenti mirati anche all’apprendimento pratico-esperienziale degli studenti in tirocinio, consentono di comprendere come il sistema di welfare italiano, residuale e localmente variabile, e i processi di professionalizzazione della figura dell’assistente sociale abbiano nel tempo impattato sulle popolazioni più vulnerabili.

In contrasto con le immagini monolitiche e cristallizzate dell’utenza straniera, si privilegia uno sguardo attento ai diversi profili interni dei cittadini stranieri (nel terzo capitolo), situando le loro domande di aiuto in rapporto alle appartenenze di genere, generazionali, ai progetti e percorsi migratori e alle gerarchie sociali che definiscono diseguali canali di accesso ai diritti sociali e alle prestazioni di welfare. Se l’eterogeneità e complessità dei bisogni sociali implica la necessità di attivare reti informali e inter-organizzative fra le istituzioni e le professioni del sociale, si evidenzia nelle pagine successive anche l’opportunità di predisporre dispositivi di mediazione e decentramento maggiormente articolati (anche in questo caso sostenuti da concrete indicazioni e analisi di caso) capaci di cogliere, per esempio in sede di colloquio professionale, gli scarti fra progetti e percorsi migratori che emergono nelle traiettorie esistenziali degli utenti.

Al tempo stesso, calandoci gradualmente verso la micro-quotidianità dell’intervento sociale e l’ambito intimo della relazione con l’utente, gli autori riescono a rendere conto del senso di smarrimento che a volte domina il campo discorsivo e operativo del servizio sociale.

Anche grazie alle osservazioni e interviste con assistenti sociali, vengono evidenziati i processi con cui la multidimensionalità della domanda di aiuto si riverbera in contesti esposti a elevate pressioni e contraddizioni, come quella di coniugare un mandato istituzionale volto a standardizzare gli interventi con la necessità di personalizzare gli interventi di fronte a bisogni sociali e profili diversificati. Il lettore riesce così a intendere quanto la difficoltà di navigare in un sistema caratterizzato da elevata discrezionalità e responsabilità esponga gli operatori non solo a rilevanti dilemmi etici e professionali (discussi nel 4° capitolo), ma anche al rischio di trincerarsi in meccanismi difensivi e affidarsi ad automatismi che faticano a riconoscere le differenze senza essenzializzarle.

In un contesto dominato da molteplici tensioni, gli autori si adoperano dunque per fornire un supporto concreto al personale nel ripensare un mandato professionale inteso come agire riparativo delle falle sociali e recuperarne il ruolo cruciale nell’attivazione di processi di cambiamento e nella ristrutturazione dei rapporti sociali. In particolare, prefigurano soluzioni per innalzare la riflessività professionale di operatori e assistenti sociali, allenando una postura problematizzante verso i «modi impliciti e relazionarsi di porsi nel contesto di aiuto» (pag. 35). Da un lato, indicano percorsi che puntano rafforzare una certa consapevolezza critica verso i saperi, linguaggi e dispositivi, non di rado miopi ed etnocentrici, che agiscono nell’azione professionale. Le analisi di casi, simulazioni, esercitazioni appaiono rilevanti per mettere in guardia gli operatori dai meccanismi che, spesso in modo occulto, entrano in gioco nelle pratiche di etichettamento e categorizzazione degli utenti. Dall’altro lato, si forniscono strumenti di riflessività e decentramento dai propri abituali schemi di azione che aiutino a riformulare i dispositivi diagnostici utilizzati nell’intervento sociale, come i colloqui professionali e le visite domiciliari. Rigettando quelle visioni prescrittive che si affidano a facili ricettari, vengono indicate piste operative finalizzate a intercettare le domande di aiuto e a negoziare soluzioni contestuali che nutrano di nuovi significati le relazioni con gli utenti stranieri, spesso caratterizzate da reciproche diffidenze e incomprensioni.

Lo stimolo che emerge per l’antropologia impegnata nei servizi e nel lavoro sociale appare in questo caso quello di ricercare inedite forme e modalità per mettere “in azione” il proprio approccio critico, spesso percepito dagli operatori in modo astratto e destabilizzante; gli autori ci invitano, cioè, ad autorizzarci come scienziati sociali a fornire proposte concrete, metodologie di lavoro, dispositivi di intervento, che vengono identificati anche attingendo a una lunga tradizione di servizio sociale internazionale e di recente transnazionale. A questo proposito, si evidenziano nella parte finale del testo le opportunità di investire nelle azioni di advocacy, nello sviluppo di reti inter-professionali e inter-organizzative all’interno del social work, nelle forme di collaborazione e progettazione condivisa fra operatori e ricercatori di servizio sociale.

In questo quadro, il volume enfatizza ancora una volta la necessità di costruire spazi di intersezione fra riflessioni teoriche, ricerche empiriche e dimensioni operative dei servizi, percepiti a volte come ambiti disgiunti del lavoro sociale. Se la costruzione di strumenti analitici e operativi può maturare solo da un consolidato percorso di studio e ricerca, il lavoro applicato nell’intervento sociale riesce infatti a generare nuove domande e agende di ricerca, incoraggiando esplorazioni empiriche delle politiche e istituzioni del welfare, dei dilemmi e delle opportunità che forgiano l’agire professionale degli operatori, delle criticità che emergono nelle loro interazioni con persone e famiglie immigrate.

La lettura del volume è caldamente suggerita agli antropologi impegnati nella consulenza scientifica, progettazione, formazione nell’ambito dei servizi del welfare e del lavoro sociale. Ma può essere colta, in modo più ampio, anche come uno stimolo per la nostra disciplina a sgombrare il campo da un equivoco di fondo, che vede a volte confinare il dibattito sull’applicazione al confronto fra antropologi e/o fra antropologi e interlocutori implicati negli specifici ambiti di intervento. È invece, anche allargando il dialogo con gli sforzi applicativi che provengono da altri ambiti e approcci disciplinari che possiamo cogliere suggerimenti per dialogare con attori professionali e pubblici differenti, riflettere sulla ricorsività fra esperienza empirica e ricerca applicata, coniugare un approccio critico e problematizzante con soluzioni concrete e operative, autorizzandoci a sperimentare nuove forme di mediazione e applicazione del sapere antropologico negli articolati spazi del lavoro sociale.