Sezione monografica

La cooperazione internazionale allo sviluppo. Costruire sull’esperienza. Presentazione

Marco Bassi

Università di Palermo

Bruno Riccio

Università di Bologna

Table of Contents

Bibliografia

La propensione per lo studio delle specificità culturali e dei relativi quadri teorici ha fatto dell’antropologia una delle discipline direttamente interessate ai processi internazionali di mutamento pianificato. Di fatto si è sempre trattato di un coinvolgimento ambivalente, nel senso di essere utile in chiave applicativa, ma allo stesso tempo fonte di interventi critici verso un campo dominato da discipline e pratiche che relegano l’antropologia sociale a un ruolo tutto sommato ancora marginale. L’attenzione per la cooperazione internazionale allo sviluppo e alle sue ricadute professionali è stata ben presente nell’antropologia italiana (Colajanni 1994; Zanotelli, Lenzi, Grillini 2008; Declich 2012) e all’interno dei convegni SIAA, ma il dibattito in seno all’associazione è rimasto per il momento sottodimensionato rispetto a un altro ambito di grande interesse pubblico, la migrazione dai paesi affetti da conflitti e povertà verso l’Europa e al ruolo che gli antropologi possono svolgere nelle politiche di accoglienza (cfr. Altin et al. 2017; e il periodico dibattito ancora aperto). Questi due temi, sviluppo dei paesi poveri e migrazione, sembrano oggi più che mai tra loro correlati, non solo per il ragionamento, spesso richiamato nel dibattito pubblico, secondo cui il sottosviluppo sarebbe il motore primo del fenomeno migratorio, ma perché entrambi sono caratterizzati dalla rilevanza delle specificità culturali e normative e da processi inter-culturali. Questo secondo aspetto è stato al centro dell’architettura della parte plenaria del IV Convegno nazionale[1]. La riflessione contenuta in questa sezione monografica raccoglie il contributo dedicato in maniera specifica alla cooperazione internazionale allo sviluppo, arricchita con interventi sullo stesso tema presentati l’anno successivo al V Convegno Nazionale della SIAA[2] e con un articolo su invito.

Più precisamente, la keynote lecture al V Convegno SIAA di Antonino Colajanni si presta in maniera egregia a introdurre il complesso tema della cooperazione internazionale allo sviluppo. Analizza con uno straordinario dettaglio bibliografico il modo in cui il tema della solidarietà entra a condizionare progressivamente la pratica internazionale dello sviluppo, un campo originariamente segnato da un approccio neutro e tecnicistico, teso a perseguire la sola crescita economica. Colajanni ripercorre tutti i passaggi chiave che hanno contribuito a modificare tali pratiche, grazie alla considerazione delle istanze sociali e ambientali, e soprattutto attraverso l’introduzione degli approcci partecipativi, favorita dal coinvolgimento crescente delle organizzazioni non governative.

Con la Keynote lecture al IV Convegno Nazionale SIAA, Paul Sillitoe ci mostra il percorso che porta l’antropologia a intersecarsi con la pratica dello sviluppo pianificato, al punto che i due campi — antropologia classica e antropologia impegnata — non appaiono più metodologicamente così distinguibili. Dal suo osservatorio privilegiato di Direttore del Dipartimento di Antropologia dell’Università di Durham, e grazie all’impegno in varie ricerche applicative centrate sul sapere indigeno e locale, Sillitoe distingue tre fasi dell’antropologia. All’antropologia ‘da scrivania’ dell’800 subentra la fase dell’osservazione-partecipante, in cui gli attori sociali sono visti come ‘informatori’, per lo più anonimi, mentre l’antropologo costruisce rappresentazioni di culture specifiche e teorie generali. Quella che qui ci interessa maggiormente è la fase contemporanea, quella ‘collaborativa’, in cui sempre più l’antropologo si mette in gioco con partnership esplicite e metodologicamente regolate con istituzioni, ricercatori e personale dei gruppi interlocutori. La partnership comporta il trasferimento di capacità decisionale sia nella definizione degli obiettivi della ricerca che nelle rappresentazioni finali delle realtà studiate. Come sottolinea Sillitoe, si tratta di un passaggio in qualche modo inevitabile, legato alla ‘decolonizzazione’ di attori che prima erano in posizione subordinata e che ora chiedono il controllo delle rappresentazioni dei loro modi di vita. In termini pratici, è avvenuto attraverso l’acquisizione di capacità scientifiche e dialettiche, ma anche per effetto della svolta partecipativa avvenuta nel campo della cooperazione internazionale allo sviluppo, quella discussa in dettaglio nell’intervento di Colajanni (cfr. Tommasoli 2001). Si tratta di una pratica costellata di difficoltà e contraddizioni di vario ordine e tipo, ma anche di opportunità, che Sillitoe illustra attraverso la revisione critica di un’esperienza fallimentare di ingaggio in una ricerca collaborativa finalizzata al miglioramento delle modalità di gestione di un’area protetta nel Qatar.

Abbiamo fortemente voluto l’articolo di David Turton, per mantenere alta l’allerta sui destini dei popoli della Valle dell’Omo in Etiopia, ma anche per portare l’attenzione su un caso paradigmatico di effetti negativi dello sviluppo realizzato secondo il modello apparentemente neutro della crescita economica ed infrastrutturale, quando non si tenga adeguatamente conto dei necessari correttivi o di misure mitigatrici. Turton è il noto etnografo dei Mursi della bassa Valle del fiume Omo, nell’Etiopia meridionale. Propone un articolo inedito tratto da tre presentazioni effettuate dall’autore in vari contesti pubblici. È il resoconto del suo tentativo di ingaggio informale con le autorità etiopiche riguardo gli inevitabili impatti che la costruzione della diga Gibe III sul fiume Omo e dei correlati progetti di sviluppo agricolo avrà sulle popolazioni che vivono a valle della diga. David Turton, per molti anni direttore del Refugees Study Centre dell’Università di Oxford, si avvale della categoria dei development refugees, un problema portato all’attenzione pubblica grazie al lavoro svolto dall’antropologo Michael Cernea presso la Banca Mondiale. Si tratta di masse di popolazione direttamente impoverite dalle iniziative di sviluppo, attraverso il meccanismo della privazione di risorse indispensabili per la sussistenza. I numeri su scala globale, portati all'attenzione dall'antropologo Michael Cernea, grazie al suo lavoro presso la Banca Mondiale, sono impressionanti, superiori alle vittime dei conflitti.

Infine, il contributo di Marco Bassi chiude la sezione monografica con un intervento derivato dalla presentazione fatta nel corso della tavola rotonda del V Convegno SIAA dedicata alla cooperazione internazionale. Bassi si avvale del concetto di paradigma dello sviluppo per mettere in correlazione i vari approcci con il relativismo culturale, considerando le diverse gradazioni con cui le istanze particolariste hanno informato le modalità operative dell’aiuto internazionale allo sviluppo. In quest’ottica, l’antropologia appare assai meno marginale di quanto normalmente si ritenga. L’analisi mette in evidenza come i diversi paradigmi, anziché subentrare l’uno all’altro, convivano in un campo complesso ed entrino in competizione per le risorse disponibili, avvalendosi di diversi apparati teorici, discorsivi e retorici.

A distanza di un anno dal convegno di Catania notiamo come sempre più nella retorica pubblica venga proposto il ragionamento secondo cui favorire la crescita economica nei paesi poveri risolverebbe alla radice il ‘problema’ della migrazione. Gli studi sulle migrazioni mostrano, al contrario, che i processi di sviluppo inizialmente stimolano la mobilità geografica e non l’arrestano (Ambrosini 2017). Inoltre, le rimesse, economiche e sociali, dei migranti e i progetti delle loro associazioni all’interno dei programmi di co-sviluppo (Riccio 2014; Marabello 2014), nonostante contraddizioni e difficoltà, sono stati capaci di facilitare il cambiamento sociale nei contesti di origine. Piuttosto che demonizzarla, la mobilità potrebbe essere considerata come un volano di aiuto allo sviluppo su entrambe le sponde dei processi migratori. Nel suo intervento Bassi rileva come le grandi ri-organizzazioni dell’apparato dello sviluppo abbiano dato spazio agli interessi privatistici meglio organizzati, e prodotto il ritorno al paradigma fondamentale, quello fondato sulla sola nozione di crescita economica, sviluppo infrastrutturale, trasferimento di tecnologia e flussi finanziari. Pur riconoscendo l’importanza di questi aspetti, riteniamo che le retoriche anti-migratorie possano produrre le condizioni per trascurare ambiti importanti dei diritti umani sanciti dai trattati internazionali e, con essi, di ignorare più di 50 anni di consapevolezza dei fallimenti dell’approccio classico allo sviluppo e di critiche costruttive.

Con gli articoli che presentiamo in questa sezione monografica vorrermmo ricordare che disponiamo già dell’esperienza, del sapere e degli strumenti che potrebbero permettere l’implementazione di politiche appropriate. L'attenzione per la democrazia e l’ accountability, la trasparenza, l’attenzione alla governance complessiva attraverso il coinvolgimento attivo della società civile, il coinvolgimento dei beneficiari — in tutte le loro componenti sociali e in particolare dei gruppi sfavoriti — nei processi decisionali, e l’attenzione specifica per le variazioni di contesto culturale, sociale e normativo sono alcuni dei cardini fondamentali.

Bibliografia

Altin, R., Mencacci, E., Sanò, G., Spada, S. (a cura di). 2017. Richiedenti asilo e sapere antropologico. Antropologia Pubblica, 3, 1.

Ambrosini, M. 2017. Migrazioni. Milano. Egea.

Colajanni, A. 1994. «L’antropologia dello sviluppo in Italia». In Colajanni et al. Gli argonauti: l’antropologia e la società italiana. Roma. Armando.

Declich, F. (a cura di). 2012. Il mestiere dell'antropologo. Esperienze di consulenza tra istituzioni e cooperazione allo sviluppo. Roma. Carocci.

Marabello, S. 2014. Il campo dello sviluppo e le migrazioni contemporanee: analisi di un’esperienza di ricerca. DADA, 2: 83-98

Riccio, B. 2014. Avventure e disavventure del cosviluppo. Etnoantropologia, 2, 1: 95-103

Tommasoli, M. 2001. Lo sviluppo partecipativo. Analisi sociale e logiche di pianificazione. Carocci. Roma.

Zanotelli, F., Lenzi-Grillini F. (a cura di). 2008. Subire la cooperazione? Gli aspetti critici dello sviluppo nell'esperienza di antropologi e cooperanti. Firenze. Edit.



[1] Il IV Convegno Nazionale della Società Italiana di Antropologia Applicata (SIAA) si è tenuto dal 19 al 21 dicembre 2016 presso il Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università degli Studi di Trento, sul tema “Politiche, diritti e immaginari sociali: sfide e proposte dell’antropologia pubblica”. Al tema dello sviluppo sono state dedicate due keynote lectures, “Some challenges of collaborative research with local knowledge” e “Promuovere la democrazia: prospettive antropologiche su azione transnazionale e processi di democratizzazione”, tenute rispettivamente da Paul Sillitoe e Massimo Tommasoli. Al tema della migrazioni è invece stata dedicata la keynote lecture di Giuseppe Sciortino “Rifugiati: uno sguardo di lungo periodo”, e il workshop “Fare-casa e sentirsi a casa in migrazione: studi di caso a confronto”, organizzato da Paolo Boccagni. La tavola rotonda interdisciplinare moderata da Leonardo Piasere “La diversità culturale: pluralismo giuridico, multiculturalismo e diritti” è stata dedicata alle teorie che in campo politologico e giuridico trattano la diversità culturale, rilevanti tanto per lo sviluppo quanto per i processi di accoglienza e integrazione collegati al fenomeno migratorio.

[2] Il V Convegno Nazionale della Società Italiana di Antropologia Applicata (SIAA) si è tenuto dal 14 al 17 dicembre 2017 presso l’Università degli Studi di Catania, sul tema “Collaborazione e mutualismo: Pratiche trasformative in tempo di crisi”. Al tema della cooperazione internazionale allo sviluppo è stata dedicata la keynote lecture di Antonino Colajanni “L’altra faccia dello sviluppo. Solidarietà e mutualismo nella cooperazione internazionale contemporanea” e la tavola rotonda coordinata da Luca Citarella e Francesca Declich “Quando l’antropologo lavora nella cooperazione internazionale”.